I vertici del Banco BPM hanno smentito i rumors di giornata dopo che il titolo in ventiquattr’ore è cresciuto dell’8% attestandosi a 1,3695€/azione. Il mercato però non sembra credere alle note ufficiali e scommette su una fusione fra Unicredit e Banco BPM, un colosso ipotetico da 30 milioni di clienti in Italia, perché il riassetto del sistema bancario è nell’ordine delle cose dato che il Governo sta cercando a tutti i costi di vendere il Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo, messa sul lastrico da un ventennio di spensierata finanza e di troppe operazioni sbagliate. MontePaschi deve uscire dal perimetro del Tesoro che attraverso Mediobanca sta offrendo l’istituto a tutti i maggiori player nazionali: nell’attesa del cavaliere bianco, la collettività, attraverso la società Amco di Cassa Depositi e Prestiti, si è già accollata 8,1 miliardi di crediti difficili da riscuotere: in qualche caso dei veri bubboni che nessuno pagherà mai, in altri invece imprese in difficoltà di liquidità che ragionevolmente non rispetteranno le scadenze dei mutui o non rientreranno dei fidi.

Questo però porta a due grandi vantaggi per il compratore: il primo, evidente, è il fatto di prendersi una banca ripulita con clienti e conti in ordine; la seconda, un tesoro di 3,6 miliardi di vecchie perdite da portare in bilancio a riduzione del carico fiscale. Un gran risparmio, non c’è che dire. Resta il dubbio sul volto del compratore. Sul piatto bisogna mettere comunque subito quattrini veri, per riportare i ratio ad un livello accettabile per la BCE: da 2 a 4 miliardi a seconda del peso che manterrà o meno lo Stato in Monte Paschi.

Tanti soldi che nessuno da solo può tirar fuori. Da qui la “folle idea” di mettere insieme Unicredit e Banco BPM, ovvero la seconda e la terza banca del Paese, che a quel punto potrebbero incorporare MPS, ovvero la quinta banca italiana diventando alla grande il primo operatore nazionale e uno dei primissimi in Europa.

Il Banco BPM ha ritenuto di smentire l’ipotesi, Unicredit non si è nemmeno presa il disturbo. I sindacati dei bancari guardano già alle sovrapposizioni che immediatamente nascerebbero dall’operazione: Unicredit, BPM operano da sempre sugli stessi territori, MPS ha 25 sportelli a Verona, 184 nel Veneto e 1420 in Italia.

Unicredit, invece, ha 25 sportelli a Verona, 93 in tutta la provincia, 315 in veneto, 327 in Lombardia e più di 2.600  in tutta Italia.  Il Banco, a sua volta, ha 648 sportelli in Lombardia, 117 in provincia di Verona, 31 a Verona, 209 nel Veneto e 1.760 in Italia. Anche senza essere maghi dei Monopoli è evidente che qualche sistemazione si può fare, ottimizzando la rete distributiva e risparmiando da subito sul personale.

L’eventuale fusione iniziale fra Unicredit e Banco BPM metterebbe però in un ruolo ancora più di minoranza la Fondazione Cassa di Risparmio di VVB e Ancona che di Unicredit ha poco meno di 41 milioni di azioni, pari all’1.792% del capitale del colosso nato dall’aggregazione delle Casse di risparmio: una partecipazione di lungo periodo che oggi vale 300 milioni di capitalizzazione borsistica controllati dalla Fondazione scaligera ( a fronte di 977 milioni come valore di libro a bilancio della Fondazione stessa). Il colosso nato dalla eventuale fusione pagherà dividendi nei prossimi anni o questi saranno assorbiti dai costi collegati alla mega-operazione? Il risiko intanto prosegue. Sotto gli occhi attenti del Governo. E nel rumoroso silenzio di Verona che pure di questa eventuale operazione pagherà un prezzo…