(b.g.) Verona, via Garibaldi, sede della allora potentissima Cassa di Risparmio. Fine degli Anni Ottanta, a mille giorni da Tangentopoli. Alberto Pavesi, presidente protagonista  della grande crescita del bastione laico della finanza scaligera, parla davanti ad un caffè di politica con altri big democristiani (Carlo Delaini fra questi), qualche stretto collaboratore e un paio di cronisti. La Lega cresce, il Veneto – nonostante il doge Carlo Bernini – conta poco nulla. Pavesi fa due più due: il modello vincente è una DC veneta, una CSU (il partito bavarese, conservatore, partner di governo della CDU guidato da un grande leader: Franz-Josef Strauss) che tratti alla pari con Roma e che costruisca un’autonomia de facto capace di svuotare i contenuti (allora) secessionisti della Lega. Pavesi guarda con ammirazione a Strauss: sono praticamente coetanei; entrambi cattolicissimi;  fanno parte di partiti-egemoni; sono seguitissimi dalla propria gente. Certo, Strauss è davvero quel che si dice un gigante: con lui la Baviera diventa una vera potenza industriale e non soltanto la regione agricola del Marken Butter, con una propria politica estera a Bruxelles come nelle altre capitali europee dove Strauss è conosciuto e rispettato. E’ un altro Cancelliere e quando parla, conta. Come ministro della Difesa ha riportato la Bundeswher ai vertici della Nato. Non trema neppure davanti ai boss di Mosca che pure lo hanno  nel mirino, a Fulda.

Strauss morirà da presidente bavarese proprio in quell’anno. A Pavesi, è noto, non riuscirà di fare la CSU veneta. Troppi i nemici interni, a partire da Bernini e dagli altri leader regionali. La storia è nota, tre anni dopo quella classe dirigente finirà spazzata via e gli anni successivi ci porteranno qui: al plebiscito per Luca Zaia che nei prossimi cinque anni avrà un potere quasi illimitato e una missione altrettanto enorme. Come chiuderà il quinquennio darà la cifra della sua statura politica; diventerà – in pratica – il nostro Franz Josef Strauss?

Come per Godzilla, le dimensioni contano. Zaia ha le forze per farlo? La Lega del Veneto ha 23 deputati e 10 senatori a Roma, più 6 europarlamentari. La CSU ha 46 deputati al Bundestag e 6 europarlamentari. Ha 4 ministri al governo: interni, sanità, trasporti, cooperazione economica e sviluppo. Al governo di Roma, oggi, c’è un solo ministro veneto: il bellunese Federico D’Incà, 5stelle, ai Rapporti col Parlamento. Certamente, non è questa la massa di manovra che serve a Zaia per chiudere il negoziato con Roma sull’autonomia. Che questo sia il dossier più pesante dell’agenda del Doge è chiaro, ma ci sono altrettanti capitoli delicati che possono portare in Veneto nuove risorse, in qualche caso, già avviati e prossimi alla definizione o addirittura alla chiusura.

Dalla rigenerazione urbana con la trattativa con le Ferrovie per i nodi di Verona e Mestre, al risanamento di Venezia con l’avvio del Mose e la bonifica delle vecchie aree industriali e la messa in sicurezza dei canali navigabili (progetti che porteranno in cassa qualche miliardo €); dall’efficientamento della sanità post-covid alla promozione industriale con una rete infrastrutturale che deve essere resa adeguata ed efficiente per recuperare, fuori dai cancelli, una competitività oggi fortemente compromessa. Strauss poteva contare su un kombinat finanziario-imprenditoriale-politico senza crepe, unito dai soldi, dalla fede cattolica, dal forte senso identitario che vedeva tutti i mammasantissima di Monaco in braghette di cuoio ad ogni OktoberFest, senza imbarazzi.

Zaia non ha più le banche del territorio; molte imprese stanno cambiando pelle e non ci sono più i tycoon della ricostruzione, i nuovi parlano meglio l’inglese del veneto, e mentre Monaco “è” la capitale indiscussa della Baviera – per storia, cultura, tradizione, peso economico, brand – Venezia resta per più di un cittadino veneto una cosa distante, da gita scolastica o viaggio di nozze. Venezia del resto guarda con più simpatia al “contado”: le Rive del Brenta, la Marca, la zona speciale verso Rovigo…Vicenza e Verona restano sullo sfondo. La ricucitura della regione sarà un altro dossier che non potrà essere, nuovamente, messo sotto la pila delle cose da fare.

Strauss ha avuto le Olimpiadi nel 1974; Zaia le avrà (invernali) nel 2026. Le vedrà da past-president. Ma avranno la sua firma. Oneri ed onori saranno tutti per lui. Toccherà a lui ricostruire quel legame fabbrica-chiesa-municipio che ha portato il Veneto fuori dalla miseria sessant’anni fa.

La domanda è: dove sarà Zaia nel 2026? Sarà andato via prima dal Veneto per guidare come tanti sperano il Centrodestra di governo dal 2023? Fosse così,  Zaia verrà misurato anche su quanti dal Veneto andranno con lui al governo di Roma per cercare di far ripartire il motore immobile dell’Italia e su quanta vera autonomia saprà garantire alle Regioni che la chiederanno.  La Lega di Zaia sarà – o no – la CSU di Strauss e dei suoi eredi? A sperare per il sì, in questi giorni, sono in tanti. E quasi nessuno di loro è leghista.