(di Gianni De Paoli) Prendere o lasciare. Non una decisione facile da assumere, soprattutto avendo avuto un quadro della governance della nuova Agsm che dice chiaramente che da gennaio, la politica lì non conterà più nulla. A spiegarlo, in commissione, lo stesso advisor della municipalizzata scaligera, Gregorio Gitti. Nella sostanza, tutto dipende dal Piano Industriale che è stato realizzato dai consulenti esterni  (oltre a Gitti anche Roland Berger, ovvero i due partner dell’operazione fallita con A2A) e che non può essere messo in discussione. Non si potrà chiedere perché si vende la Centrale del Mincio (a che prezzo? A chi? E se nessuno la vuole cosa ne facciamo?); non si potrà discutere del futuro dell’Amia (resterà nella nuova società? Verrà scorporata? Chi seguirà la raccolta a Verona? Con quanto personale?); non si potrà chiedere chiarimenti sulle regole di conduzione della nuova Agsm; non si potrà chiedere perché si investe in un posto oppure in un altro. Perché il Piano stabilisce già tutto. E cambiare non si può. Anzi, dice Gitti, fate in fretta a dire di sì, perché il primo gennaio si parte con la nuova società…e chi l’ha deciso?

Il pacchetto è a scatola chiusa, non si possono fare emendamenti, e tutto – se approvato dai consigli comunali di Verona e Vicenza – sarà nelle mani di un consigliere delegato che avrà, per dirla con Gregorio Gitti, “rilevanti e penetranti poteri decisori”. Lui, e lui solo, deciderà chi guiderà le sei società operative; lui e lui solo potrà discostarsi dal piano industriale; lui potrà revocare i manager che nominerà; e per mandarlo a casa (nel caso mancasse la fiducia di uno o di entrambi gli azionisti) ci vorrà la maggioranza dell’85% del capitale sociale in tutte le assemblee che verranno a tal fine convocate. 85%. Basta poco per non raggiungere mai quel limite: un altro consigliere che si affianca al voto contrario del diretto interessato.

Al presidente, cioè al rappresentante dell’azionista pubblico – ovvero i cittadini di Verona e Vicenza – andranno un paio di incarichi di facciata – la guida del Comitato territoriale coi due Sindaci e del Comitato Esecutivo che sarà la regia informale delle assemblee per le scelte strategiche – e l’incarico di verificare che il piano industriale venga rispettato grazie alla responsabilità sui controlli contabili-amministrativi interni della nuova Agsm. E per cambiare le tavole della legge del Piano Industriale ci vorrà la maggioranza qualificata del consiglio d’amministrazione: cinque a favore su 6 membri, di cui uno – il consigliere delegato – di fatto senza contrappesi e col potere di decidere come dar corso agli investimenti “geolocalizzati”. Spendere a Verona piuttosto che a Vicenza. Un super-consigliere in grado di determinare vita, morte  e miracoli nella nuova Agsm. E che inciderà come nessun altro nella gran torta degli investimenti previsti: fra i 500 ed i 700 milioni. Un potere rilevante. Penetrante, per l’esattezza…

E’ come se l’azionista pubblico avesse voluto sbarazzarsi delle rogne della gestione affidando tutto al futuro consigliere delegato. Di cui nemmeno il profilo potrà essere messo in discussione: Vicenza potrà guardare al massimo il suo curriculum prima di dire “va bene”. Se il Sindaco di Vicenza dovrà abbozzare, cosa mai potranno fare i consiglieri dei due Comuni in termini di verifica e controllo? Azzardo? niente.

Resta strategica la fusione con Vicenza? Sì, perché così si creano le basi dell’unica – e ultima possibile – realtà veneta nelle multiutility. Il resto è tutto finito altrove. Con la nuova Agsm si può creare un soggetto in grado di costruire un’aggregazione federale che non svenda il patrimonio di veronesi e vicentini. Si può progettarla con un po’ più di rispetto per il capitale pubblico? Sicuramente sì, e senza nemmeno buttar via il lavoro già fatto.  Prendere o lasciare non è però la strada giusta per creare una realtà industriale come la nuova Agsm.