(di Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi) Sin dalle origini la concorrenza tra i due grandi quotidiani fu intensa. continua e, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, si ricorse a duelli tra i componenti delle redazioni. Sarebbe divertente la cronaca che precede e causa il drammatico duello fra Antonio Mantovani, direttore de l’“Arena” e Bellini Carnasali “direttore dell’“Adige”. Mantovani era stato accusato di “aver fatto la spia” ai danni dell’Adige per conto della Banca Cattolica Vicentina. Per la verità la polemica veniva da lontano ed era stata “aggiornata” non da Bellini Carnasali, ma dal suo sostituto Alberto Colantuoni. Infatti, Bellini Carnasali ai primi di luglio, con la famiglia, aveva raggiunto Riccione per motivi di salute, intenzionato a trascorrervi la stagione estiva. Riaccesasi la polemica, egli caricò i suoi famigliari sul treno e, da buon sportivo “touriste” qual era, a cavallo della sua motocicletta, si avviò a piccole tappe verso Verona “coll’intento di divorare quanti più chilometri nel minor tempo possibile”. Ben evidente la sua passione per lo sport, e non era semplice il viaggio: il 28 luglio passò la notte a Forlì, il 29 a Bologna, il 30 a Modena, a mezzogiorno del 31 a Mantova fu costretto a fermarsi per un guasto, e per la pioggia che rendeva la strada “malagevole e pericolosa”. Per quattro giorni non lesse i giornali veronesi e solo il 31 una volta avuti tra le mani i due quotidiani accolse l’idea di un duello con Mantovani, duello, che con supponenza considerava non più di uno scontro sportivo, un ludo ginnico.

La polemica fra i due quotidiani veniva da lontano, ma il 6 agosto del 1904 si decise di risolverla con la spada, al primo sangue, fra direttori: finì male, come logico aspettarsi. Antonio Mantovani, da tre anni alla guida de L’Arena, morì per i postumi di una ferita alla testa

Dopo qualche altra polemica nel giro di qualche giorno si passò dall’inchiostro alle lame e il 6 agosto alle quattro del pomeriggio si tenne il duello, nei dintorni di Verona. I duelli raramente erano all’ultimo sangue, la solerte regia polizia vigilava. I D’Artagnan erano al bando nel Belpaese. Al primo assalto entrambi i contendenti restarono feriti alla testa, più gravemente Mantovani, tanto da indurre i medici presenti a porre fine alla sfida. Bellini Carnasali e Mantovani si diedero la mano, lasciando da parte ogni contesa giornalistica e politica, e con dichiarazioni di stima reciproca. Sembrava che tutto dovesse finire lì. Invece Mantovani morì a novembre, causa un’infezione provocata dalla ferita, malignarono gli amanti di cupe leggende, secondo altri per un colpo apoplettico, una emorragia celebrale forse procurata dalla ferita, o per il diabete latente che infettò il sangue. Al suo capezzale erano accorsi anche gli avversari politici e ci piace credere che l’avversario implacabile assiduo che manifestò “una cura fraternamente ammirabile” fosse proprio il direttore dell’“Adige”.

Mantovani, espressione del partito liberale moderato, era nato nel luglio 1850 a Limassol di Cipro, dove avevano trovato riparo i genitori Giacinto e Anna Marseille, dopo i moti a Venezia del 1848. A Cipro il padre operò come console di alcuni stati. Il giovane Antonio, raggiunta l’Italia proseguì gli studi a Rovigo, a Venezia e a Padova dove si laureò in legge nel 1879. Fu tentato dalla carriera consolare, lavorò nei giornali padovani e in quella città diresse la Società dei Telefoni. Nel 1893 intraprese decisamente la carriera giornalistica a Verona da collaboratore e redattore capo dell’ “Arena”.

Dopo la morte nel 1901 di Antonio Aymo lo sostituì alla direzione del quotidiano, e si distinse per la strenua difesa di Carlo Trivulzio, tenente degli alpini sospettato di essere uno dei responsabili della morte della famosa Isolina Canuti, diciannovenne. In quei giorni i due quotidiani veronesi si scontrarono e si schierarono tra chi difendeva la città, i suoi equilibri politici ed economici, la sua tradizione e la presenza dell’esercito nella fortezza cittadina e chi invece quegli  equilibri li metteva  in discussione, puntando sulla modernizzazione della città, al suo sviluppo industriale e urbanistico, allo scioglimento dei vincoli imposti dalla forte presenza dell’esercito italiano, e che avevano trovato nel  socialista, Mario Todeschini, già compagno di redazione di Emilio Salgari alla “Nuova Arena”, uno strenuo paladino (9-Continua).