Milano ha conquistato una posizione di vantaggio nel mondo del vino: i brillanti risultati della recente edizione della Milano Wine Week che si è appena conclusa fanno discutere il settore che deve decidere, ancora per buona parte, cosa fare dell’ultima rassegna in calendario: Wine2Wine (VeronaFiere 22-24 novembre) dopo che oggi anche il Merano Wine Festival ha alzato bandiera bianca rimandando al 2021 gli eventi in presenza, confermando soltanto per la prima settimana di novembre una serie di appuntamenti sul web.
Per Verona una buona notizia soltanto in parte: se Merano salta (spezzando così una tenaglia pericolosa sul Vinitaly) vuol dire che ad oggi le possibilità di eventi in presenza stanno scendendo al lumicino confermando nelle cantine la preoccupazione per gli effetti del Covid-19. Perché se a Merano era prevista la presenza di un solo addetto per un solo giorno di rassegna, ed un pubblico dimezzato rispetto all’anno scorso (il biglietto sarebbe stato valido soltanto per la mattina o per il pomeriggio), con un rigore teutonico nei controlli, per Wine2wine le cantine stavano allestendo le procedure per far effettuare tamponi e test rapidi per il personale in fiera. Fra l’altro, tutti assieme in tre padiglioni con una presenza di winelover e di professionisti del settore: insomma, se funziona vuol dire un mucchio di gente anche se con giornate dedicate…la preoccupazione di ritrovarsi con il personale in quarantena fuori sede, coi relativi costi e strascichi legali, sta mettendo in agitazione più di un vigneron.
Insomma, il Covid ha dato una bella mano al rilancio della Milano Wine Week che usciva da una edizione – quella dell’internazionalizzazione del 2019 – che aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca ai partecipanti, ma che quest’anno sembra aver azzeccato modalità e temi. Ad esempio, la parte economica affidata ad un guru indiscusso del trade come Silvana Ballotta (che ha portato al suo fianco i top manager delle cantine più importanti) e, quel che è peggio per Verona, i “wine district”, sei quartieri in di Milano dove i Consorzi (il budget tagliava fuori i singoli) hanno potuto pressare H24 i consumatori finali con eventi in tantissimi locali. A Brera / Garibaldi / Solferino è stata di scena la Franciacorta; a Eustachi il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese; a Porta Nuova, il Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG; a Isola, il Consorzio delle DOC Friuli Venezia Giulia; a Porta Romana, il Consorzio Tutela Lugana DOC e ad Arco della Pace e Corso Sempione, il Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti DOCG. Tutti vini di moda o easy-to-drink…L’integrazione con l’horeca è stata molto stretta e i produttori da noi interpellati si sono dichiarati tutti soddisfatti evidenziando (purtroppo per Verona) il differenziale coi risultati, anche recenti, del Vinitaly in the City. Questa formula è piaciuta, così come hanno funzionato le degustazioni con pubblico in sala e in streaming in nove capitali del mondo: anche qui, un budget significativo, ma con un effetto di comunicazione altrettanto importante.
Tirando le somme: da un lato la MWW – guidato da Federico Gordini, nella foto, un manager che ha voglia di togliersi più di un sassolino dalla scarpa con VeronaFiere, fra l’altro – si è trovata ad essere il primo evento del vino italiano nel 2020 ed ha beneficiato di una formula rinnovata, rivolta al consumatore finale, e senza incubo della seconda ondata; dall’altro, Verona ha davanti un Vietnam lungo un mese intero per tranquillizzare le cantine, riempire i suoi padiglioni e portare fieno in cascina in questo periodo molto delicato.