O l’Europa recupera la sua spinta ideale, e di conseguenza la sua indipendenza economica, oppure finirà schiacciata dal capitalismo di Stato di Stati Uniti e Cina. E, allora, non ce ne sarà per nessuno. Il tema, in fondo, del Forum Eurasiatico di Verona sta tutto qua. Zeno D’Agostino, manager veronese, uno dei primi cento d’Italia, guida il Porto di Trieste e la sua Zona Franca. E’ uno dei terminali più ambiti dal kombinat politico-commerciale di Pechino che, dopo aver rilevato il Pireo e avanzato offerte molto forti per Taranto, punta al cuore dell’Europa. E la Zona Franca, prerogativa giuliana sin dai tempi dell’Imperial Regio Governo di Vienna, è la ciliegina sulla torta: esenzione doganale sino all’uscita delle merci, sessanta chilometri di aste ferroviarie a bordo nave, possibilità di seconde lavorazioni ed assemblaggi in zona franca a condizioni di vantaggio. A cercare di rendere più indigesta la torta ai cinesi è D’Agostino che si sta opponendo all’ingresso di maestranze cinesi in Zona Franca. Per due ragioni: non perdere business; non perdere la sovranità italiana in una zona geopolitica strategica.

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E’ D’Agostino (in alto, nella foto) a richiamare l’attenzione del Forum sulle responsabilità politiche dell’Europa: «Non c’è più il capitalismo di quaranta, vent’anni fa. Parlare di neo-liberismo o di turbocapitalismo oggi vuol dire guardare la realtà con gli occhiali del passato. Questa è la stagione del capitalismo di Stato, coi grandi leader politici a tirare le fila dell’economia. Lo fa Trump, lo fa Xi Jinping. Cambia la moneta, ma non la strategia. E’ la nuova guerra fredda e viene combattuta con spregiudicatezza: e l’Europa è o non è. Entrambi i capitalismi di Stato vogliono un’Europa debole, non autonoma, non forte politicamente. Basta vedere come Trump ha “richiamato all’ordine” Italia e Europa su tema delle relazioni con Pechino. Attenzione, il capitalismo di Stato non prevede un controllo democratico dell’ordine mondiale, prevede rapporti di forza, prevede grandi leader senza contraddittorio.

Quindi, se l’Europa vuole salvarsi e giocare un ruolo nella politica e nell’economia del prossimo futuro deve darsi una mossa: tornare ai suoi valori fondanti, agli ideali che l’hanno generata, alla sua dimensione sociale che deve diventare il tratto distintivo della sua politica estera. Deve tornare ad investire nella pubblica amministrazione portando lì le sue intelligenze migliori. Del resto, davanti a choc nell’economia globale sempre più ricorrenti e ravvicinati, il capitalismo privato non ha armi. Può reggere ad uno choc, forse a due. Ma non di più. Tocca allo Stato, alla sua pubblica amministrazione, creare la rete di salvamento, mettere in sicurezza le istituzioni economiche e sociali. Non a caso, Cina e USA hanno investito moltissimo nelle loro pubbliche amministrazioni; ora deve farlo l’Europa».

Il modello dell’euroburocrate – grande esperto nella misura delle zucchine – sin qui conosciuto non funziona più. Prosegue D’Agostino: «Abbiamo assistito al paradosso dei nuovi sovranismi che in Europa cercando di recuperare indipendenza da Bruxelles e si sono ritrovati a cercare, col cappello in mano, l’aiuto di un nuovo signore. L’Europa deve essere l’opposto: far leva sui propri valori irrinunciabili e su quelli basare con coerenza, con determinazione, la propria politica estera. Con i due big, ma anche con la stessa Russia. Così recupererà credibilità e ruolo nell’Eurasia; così aiuterà questa area a trovare una propria dimensione che possa riaprire i giochi a livello globale. A vantaggio di tutti, Cina e USA compresi».