(di Carlo Rossi) Carlo Nerozzi, pàtron de Le Vigne di San Pietro, da sempre ama le bollicine pur essendo un notissimo produttore di vini fermi. Le produceva anche, metodo classico, sino alla morte del padre. Poi più niente dal 1992, l’ultimo millesimo. Pian piano l’antico amore è tornato alla luce. Carlo è un creativo del vino. Curioso come pochi, è tornato all’antico amore con una corvina in purezza, dell’annata 2018, rifermentata sur lie. Un vino biologico, come gli altri del resto della sua bellissima realtà che si trova sulle colline moreniche a sud del Garda, a Sommacampagna. Lieviti autoctoni, frutto di una attenta selezione.
Questa corvina 2018 utilizza il tappo a corona, classico per le tipologie dei vini prodotti con il metodo ancestrale. L’etichetta è fatta di una carta particolare che Carlo è andato a scovare a Parma. L’etichetta è scritta con una vecchia Olivetti. Vino secco, diritto, senza aggiunta di zucchero, a dosaggio zero. Per descrivere l’azienda utilizziamo le parole dello stesso Nerozzi “Le Vigne di San Pietro sono una piccola isola tra le colline moreniche del Garda. L’azienda di circa 10 ettari nasce nel 1980 per volere di Sergio e Franca Nerozzi, i miei genitori. Mio padre decise di trasferire la famiglia che abitava in città, in campagna, cercando un luogo che potesse abbinare bellezza, natura e produttività. Dopo due anni di paziente ricerca il destino ci ha portato qui, in questo luogo unico, a due passi dalla bella Verona e del lago di Garda. La terra è vocata per produrre uva da vino e molti antichi resti lo testimoniano assieme alla qualità che negli anni siamo riusciti ad esprimere cercando di comprendere la ricchezza di queste terre. Il suolo è argilloso calcareo, morenico, di origine glaciale, ricco di minerali. Il microclima, che risente del lago di Garda vicino, aiuta la vite ad esprimere la sua funzione e a trarre il meglio dal terreno. Le vigne sono allevate in mezzo ad un parco denso di varietà arboree che creano una ampia biodiversità molto utile allo sviluppo equilibrato delle vigne. Io sono architetto di formazione, creativo di carattere e contadino per necessità.
Da oltre trent’anni mi confronto con questo mestiere, aiutato anche dall’amico Federico Giotto, un giovane agronomo ed enologo che da quindici anni mi aiuta ad esprimere, con maggiore rigore e perizia tecnica, il mio stile nel fare vino. Amo i vini eleganti, interessanti, che esprimono profondità senza irruenza, che sanno evolversi nel tempo amplificando ciò che all’inizio è solo percepito. Amo la mineralità, i colori trasparenti e caldi, i profumi sottili e seducenti».
Una bella persona e una buona annata il 2018. La corvina si presentò pressoché perfetta in epoca vendemmiale. Di qui la scelta anche di ritornare sulle bollicine. Poche bottiglie e piccole colonnine di perline che salgono eleganti dal bicchiere che abbraccia il vino accompagnandolo con garbo. Una leggera pressatura delle uve per estrarre i lieviti autoctoni presenti sui grappoli, seguita da una fermentazione in acciaio inox a temperatura controllata, a bassa temperatura. Qui la fermentazione viene prima rallentata e poi bloccata conservando un contenuto di zuccheri sufficiente a garantire la ripresa della stessa dopo l’imbottigliamento, senza ulteriori aggiunte del liqueur de tirage. Gli enzimi e i lieviti chiusi in bottiglia inibiscono la CO2 creando, come dicono i francesi, un “petillant”, un vino leggermente frizzante. Questo è il metodo che storicamente veniva utilizzato nella Champagne che portava il vino ad avere una maggiore complessità organolettica, ma si tratta di una tecnica vecchissima iniziata con a Limoux, nel sud della Francia. Normalmente, non effettuando la sboccatura, questi vini si presentano torbidi con sentori olfattivi di crosta di pane più accentuati dovuta a una maggiore presenza di lieviti. Vino dal colore quasi ramato, sentori d’agrumi dal bergamotto al lime. Ma anche piccola frutta di bosco. Finale lungo e sapido, secco e gradevole. Equilibrato.