(di Maddalena Morgante) Non c’è soltanto l’invito palese all’utilizzo della cannabis light attraverso le sponsorizzazioni sportive o le pubblicità delle coltivazioni biologiche in casa o da remoto – come ha raccontato (qui) L’Adige nei giorni scorsi – ad alimentare una perniciosa rilassatezza culturale sulla diffusione delle droghe. Adesso, si vuole andare alla radice del consenso: conquistare alla causa della cannabis le menti dei consumatori di domani, i ragazzini che già dai 10 e 12 anni vengono bombardati di messaggi, nemmeno tanto subliminali, a favore di questa sottocultura. Ed è ancora più grave che questo attacco avvenga all’interno di quella comfort zone che è l’intimità domestica.

E non c’è bisogno di violare fisicamente i domicili, basta entrare nella realtà virtuale che i nostri figli frequentano sempre più spesso: i giochi elettronici su telefonini e play station.  Fate una prova: prendete il vostro telefonino e cercate nelle App quelle di gioco dedicate alla coltivazione della cannabis: avrete difficoltà non a trovarne, ma a decidere quale – fra le tante – scaricare e aprire. Coltivare cannabis, scambiarla con gli amici, sfruttarne le potenzialità, acquisire più campi e più impianti: la cannabis light è trattata come una commodity qualsiasi, uguale alla soia, al frumento, al petrolio. In questi giochi – gratuiti all’avvio, ma spesso anche a pagamento man mano che si sale di livello – il commercio di cannabis e marijuana non soltanto è legittimo, ma è una grande opportunità di business che può essere replicato anche nella vita reale. Che remore farsi allora ad entrare in un negozio di cannabis light quando ogni giorno posso avere una vita virtuale dove sono un produttore, un imprenditore, di questo settore? Nessuno. Ed è su questo che si punta: creare sì dei consumatori, ma anche una mentalità di disponibilità, di apertura diffusa alla cannabis che oggi coinvolge dei ragazzini, ma che in poco più di un lustro vedrà cittadini adulti, ed elettori, non ostili a queste tematiche.

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Mi chiedo dove siamo noi genitori: quante volte abbiamo guardato i telefonini dei nostri figli con attenzione o i giochi disponibili nella loro play station. O verificando chi sta giocando online coi nostri figli. Certo, la cultura della liberalizzazione delle canne trova terreno fertile nella attuale  generazione di adulti che ha visto il consumo crescente delle droghe e dell’abuso di farmaci ed alcol senza opporre, salvo pochi casi,  una grande resistenza. Ma adesso è venuto il momento di affrontare questa battaglia con più decisione. Il pericolo è evidente così come i danni permanenti che questa sottocultura porta.

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Sarà un caso, ma proprio in questo periodo di lockdown che obbliga i nostri ragazzi a stare sempre di più al computer e mai in palestra o all’aperto che questo pressing è diventato martellante. Finita l’emergenza Covid ci troveremo ad affrontarne il costo sulla generazione 12-19 anni. Per questo bisogna agire ora senza perdere altro tempo prezioso. Iniziamo col boicottare tutte quelle realtà – come singoli e come amministrazioni pubbliche – che accettano di fare affari con chi promuove questi prodotti e questa cultura. Iniziando da quanti, nel mondo dello sport, si prestano ad essere veri “cavalli di Troia”.