(s.t.) Dicevamo nella prima parte di questa analisi sul risparmio veronese che il Banco e Cattolica avevano a tratti ipotizzato una fusione che potesse creare una società attiva nel settore della bancassurance, a partire da comuni radici nel tessuto locale, per puntare a un’entità competitiva e di grandi dimensioni. La ricostruzione che abbiamo chiesto a Consultique, società indipendente di analisi e consulenza finanziaria, ci mostra che non è andata così. Ecco quindi il secondo elemento in comune tra i due soggetti, che gradualmente nel tempo hanno trascurato (diciamo abbandonato) i loro legami con la città e con soci e investitori. Ripartiamo qui dal Banco, che all’inizio ha seguito una strategia di crescita per acquisizioni (Lodi e Novara), assumendo un profilo attivo fino alla fusione quasi inter pares con la Popolare di Milano.
Ma prima l’entrata in vigore dell’Unione Bancaria europea, poi la volontà del legislatore di porre sotto stretta vigilanza gli istituti di credito dell’Eurozona (anche attraverso le varie normative sul bail-in), hanno nettamente cambiato lo scenario del risiko bancario italiano. Se nel corso di un 2020 caratterizzato dalla pandemia globale è avvenuta l’acquisizione del quarto gruppo bancario italiano (UBI) da parte del primo (Intesa Sanpaolo), significa che ormai si sta correndo verso una direzione ben precisa. Eccola. Le banche dell’Eurozona devono aggregarsi il più possibile, mentre le più piccole devono trovare un metodo per unirsi tra loro, sperando magari di mantenere un certo grado di autonomia e di legame col territorio. Oppure devono prepararsi a diventare preda di soggetti più grandi. Tutto questo per garantire una migliore tenuta sia della singola banca che dell’architettura finanziaria di sistema.
“Banco BPM si trova adesso nella condizione di dover decidere dove stare: le ipotesi di aggregazione portano con discreta probabilità verso scenari esteri di matrice francese o a una fusione con soggetti simili per capitalizzazione”, chiarisce Andrea Cattapan di Consultique. “Con le quotazioni di borsa via via sempre più sacrificate (oggi la banca capitalizza appena 2,94 miliardi di euro, pari al 20% dei mezzi propri), nel quadro di fusioni o acquisizioni il momento appare più propizio per chi compra. E stavolta per il Banco sarebbe un passo ancor più deciso verso la perdita della connotazione veneta e veronese”.
Sono sicuramente più recenti, invece, i passaggi che hanno portato a sbiadire il Dna scaligero di Cattolica Assicurazioni che, come capitalizzazione di borsa, evidenzia un valore più basso del Banco, che varia dagli 875 milioni riportati da Borsa Italiana agli 1,14 miliardi segnalati da Bloomberg (a seconda dei vari perimetri di calcolo. Il 2020 è stato un anno di svolta per la compagnia, che negli ultimi anni ha visto l’acuirsi della forte lotta ai vertici anche in termini di struttura sociale. E proprio la natura cooperativa contrasta da sempre con la crescente spinta dei mercati di vederla diventare una Spa, per garantire una miglior trasparenza e governance. “Il recente ingresso nel capitale di Cattolica di un gigante come Generali viaggia in parallelo con quanto abbiamo visto per le piccole banche: consolidare qualche conto che mostra crepe, aggregandosi con un soggetto ben più capitalizzato e solido, soddisfacendo così le volontà dei regolatori del mondo assicurativo. Il che comporta rinunciare alla propria indipendenza. Il 2020 di fatto sarà l’ultimo anno in cui la veronese Cattolica si presenterà come soggetto pienamente autonomo. La prospettiva d’ora in poi sarà ricevere da Trieste gli indirizzi economici (e operativi)”, dice Cattapan.
In questi anni l’avanzata della globalizzazione sui mercati finanziari ha portato alla fine o alla riduzione di peso delle realtà locali, nate in origine per dare un sostegno al territorio tramite l’attività di erogazione di credito e di servizi. Un connubio che per forza si interromperà o dovrà trovare canali alternativi. Ma dal punto di vista dell’investitore sono processi obbligati che ancora una volta dimostrano quanto i bias di investimento possano nuocere a chi investe.
Il portafoglio del risparmio veronese è stato spesso incentrato (in percentuali bulgare e con “mediazioni” progressive nel tempo) proprio sui più importanti titoli locali quotati in borsa. E le cose sono andate bene, almeno fino al 2007. Ma la prospettiva dei risparmiatori deve estendersi, e diversificare è il criterio primario per evitare che scenari avversi mettano in discussione – o addirittura ridimensionino – il capitale investito”, sintetizza Cattapan. “Non sono escluse ovviamente presenze nei singoli titoli, che però non devono compromettere gli obiettivi di medio – lungo termine di un investimento azionario”.
“Investire è semplice ma non è facile”, dice Warren Buffett. E se le regole per farlo con efficacia non sono molte, disattenderle significa prendersi dei rischi rilevanti, di cui spesso l’investitore non è neanche consapevole. I 10 mila euro citati in precedenza e investiti ad inizio 2008 oggi sarebbero 8.500 se allocati nei titoli del mercato italiano, ma sarebbero 17 mila se investiti nelle duemila società dell’indice azionario globale MSCI World. Eh sì, le “misure” contano. (2 / fine)