La tempesta perfetta per le imprese è facile da dirsi e da spiegarsi: sino ad oggi la liquidità che è mancata per il crollo dei fatturati dovuto alla pandemia è stata supportata dallo Stato col finanziamento a fondo perduto e con le garanzie prestate alle banche sui prestiti d’emergenza previsti dai primi decreti del Governo. Si tratta di 100 miliardi erogati e garantiti dalla Repubblica, non poca cosa. Poi ci sono stati gli interventi sugli ammortizzatori sociali che hanno abbattuto il costo del lavoro per le imprese. Che, bene o male, adesso stanno in piedi. Ma sta arrivando una scadenza improrogabile: fra quindici giorni il 2020 finisce e bisogna chiudere i conti delle società per arrivare in primavera alla stesura dei bilanci. E nei bilanci emergeranno le perdite legate all’interruzione delle attività. E se le perdite supereranno i due terzi del capitale i soci dovranno mettere mano al portafoglio.

Per Bankitalia, il 12,4% delle imprese di capitale è in condizioni di “insufficienza patrimoniale” a causa del Covid. Saranno i soci disposti a mettere altri soldi in realtà così in perdita e davanti ad almeno altri sei mesi di incertezza sui mercati? Se così non fosse, se gli imprenditori preferissero chiudere le attività per avviarne di nuove o per cambiare mestiere, per lo Stato e le banche si aprirebbe un buco enorme: il boom dei fallimenti costringerebbe le banche a chiedere le garanzie pubbliche aprendo una falla nei conti dello Stato che potrebbe arrivare, come volume, al 50% dell’ammontare del prossimo Recovery plan.

«Una eventualità che dobbiamo a tutti i costi evitare per il bene delle imprese, del sistema del credito nazionale e dei conti dello Stato» dichiara Gianni Dal Moro, nella foto, parlamentare Pd, membro della Commissione Bilancio della Camera. E la soluzione c’è ed è a costo zero per le casse pubbliche. E sta in un emendamento alla legge di bilancio che lo stesso  Dal Moro ha presentato: «La chiave di volta sta in questo:  in via eccezionale, esclusivamente per le società che hanno l’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, i costi fissi di gestione sostenuti dalle imprese relativi al personale risultante dal libro unico di lavoro – LUL – i servizi di supporto ed assistenza all’attività amministrativa, fiscale e tributaria, le spese di affitto, le utenze, i servizi informatici e di telefonia, possono essere capitalizzati e ammortizzati, in deroga al principio contabile OIC 24, nella misura non superiore alle eventuali perdite altrimenti registrate, entro il 31 dicembre 2025. In pratica, i costi fissi vengono spalmati su cinque anni, esattamente come si fa quando si acquista un’autovettura, ma soltanto sino al raggiungimento del pareggio di bilancio».

Cosa comporterebbe nella pratica?

«Non costringeremmo a portare direttamente i libri in tribunale. Non avremmo di conseguenza  fallimenti a catena (perché  se salta un’impresa di mezzo ci vanno anche i fornitori) e le banche non si troverebbero in difficoltà nel rientrare dagli affidamenti. Anche Mario Draghi, al G30, ha chiesto ai governi di trovare soluzioni  urgenti perché molte imprese sono sull’orlo della solvibilità. Con tale norma l’imprenditore non si troverebbe nella situazione di dover ripianare le perdite a partire dal 2021 quando terminerà la sospensione delle norme di diritto societario in materia di riduzione del capitale sociale (art. 2446 e 2447 del codice civile). Infatti, allo stato attuale della normativa (art. 6 DL Liquidità), a partire dal 2021 l’imprenditore si trova nella necessità di trovare la liquidità per ricostituire il capitale sociale, ridotto o azzerato per effetto delle perdite. Ed è indiscutibile che presentarsi al sistema creditizio con un patrimonio netto azzerato o negativo rende difficile o impossibile ottenere nuove linee di credito per superare il periodo di crisi. Per rappresentare la difficile situazione, basti pensare all’andamento dell’indice leverage (Indebitamento finanziario netto/patrimonio netto) che le banche valutano positivo se non superiore ad 1, mentre, in caso di patrimonio netto azzerato, sarebbe addirittura indeterminato.

Il beneficio della norma sarebbe, invece, quello di sollevare l’imprenditore dall’obbligo immediato di ripianamento della perdita 2020, e di dargli la possibilità di riprendere gradualmente l’attività operativa con una maggiore prospettiva di redditività ed un conseguente miglioramento del suo merito creditizio verso il sistema al fine di ottenere la necessaria liquidità da investire per lo sviluppo».

La proposta è ora al MEF che dovrà valutarne gli impatti anche fiscali e di armonizzazione col sistema creditizio. Ma non costa nulla e aiuterebbe a uscire più velocemente dalla tempesta.