(di Gianni De Paoli) Da quando ci sono le guerre in tutti i paesi del mondo i vecchi rimangono a casa. Non vengono chiamati a combattere. Non vanno al fronte. E’ sempre stato così. Non c’è bisogno di spiegare il perché. La pandemia, han detto, è come la guerra. Ed è vero: ci sono i morti -in Italia già 60 mila-, ci sono i feriti – quelli che vengono ricoverati-, c’è il coprifuoco, c’è “l’economia di guerra“, ci sono le limitazioni alla libertà personale.
Però la guerra del Covid quella regola di lasciare a casa i vecchi non la rispetta. Anzi, la stravolge. Sono proprio i vecchi ad essere “al fronte”. Un fronte che al posto delle trincee ha i letti, le camerette, le poltrone delle sale di soggiorno e dove il nemico non è davanti, ma ovunque, invisibile, subdolo. Ma come quell’altro fa i morti, tanti, ogni giorno. E come nella prima guerra mondiale il fronte è qui in Veneto. Rappresentato dalle 300 RSA ( Residenze Sanitarie Assistite) dove sono ospitati i nostri veci quando, per diverse ragioni, non hanno più la possibilità di restare a casa propria.
Sono le case di riposo i luoghi dove più corre il contagio e dove più si muore. Il sistema delle RSA nella nostra regione è uno dei più organizzati e diffuso con i suoi 30 mila ospiti ed i 3000 operatori che vi lavorano. Nonostante vengano attuate tutte le precauzioni, come fare il tampone a tutti gli ospiti ogni 20 giorni ed ogni 4 giorni a tutti gli operatori, le case di riposo sono i luoghi dove più corre il contagio. Ed è in considerazione di questo, oltre che per la fragilità degli ospiti che a causa delle numerose co-morbilità sono quelli che rischiano di più il contagio Covid, che saranno i nostri vecchi i primi ad essere vaccinati. Loro e chi lavora da loro per accudirli. Ed è giusto così.