Un anno fa moriva, consapevole della fine dopo breve e penosa malattia, Adimaro Moretti degli Adimari, generale dei “lagunari” in pensione, immarcescibile signore della politica veronese. Uomo di destra, era stato consigliere provinciale e Assessore alla Cultura per Alleanza Nazionale facendosi apprezzare anche dagli avversari. Anche quando non ricopriva più una carica aveva continuato a fare politica con entusiasmo e creatività. Prima di aderire ad Alleanza Nazionale era stato iscritto al Msi, cosa di cui, per la sua formazione culturale e politica, andava fiero. Non condividendo più la politica di Fini, che detestava apertamente, e non sentendosi più a suo agio nel partito veronese, nel 2007 esce da An assieme a Danieli, Bajona, Croce e altri esponenti storici. Dopo una breve esperienza ne La Destra fonda con loro L’Officina, di cui è stato il presidente dalla fondazione fino al 2014.

Per gli amici era Adimaro, un nome unico, che non aveva nemmeno bisogno venisse seguito dal cognome “degli Adimari”, una famiglia nobile fiorentina che Dante cita anche nella Divina Commedia come “l’oltracotata schiatta“, avendo il poeta il dente avvelenato con gli Adimari che erano entrati in possesso dei suoi beni confiscati dopo che era andato in esilio.

Nell’ambiente politico era “il generale”. Ma anche quelli che non lo conoscevano lo ricorderanno sull’inseparabile bici in giro per la sua borgo Trento, jeans, blazer blu, camicia e cravatta. Educato e socievole nei modi, ideologicamente è sempre stato un intransigente e non accettò mai la abiura che Fini fece del fascismo. Adimaro se n’è andato per un tumore, forte, consapevole fino alla fine, senza un lamento all’età di 86 anni, ma ne dimostrava e se ne sentiva almeno dieci di meno per la forza del carattere e del fisico. Resta nella memoria dei veronesi come un gentiluomo della politica.