Avevamo previsto, già prima dei trionfalistici sondaggi, degli exit poll così poco credibili, che le cose non sarebbero state così tranquille per il centrosinistra. Avevamo, in alternativa alle nuove tecniche di analisi politica, richiamato l’antico “nasometro”, capace, per i buoni politici, di essere un buon termometro dello stato del paese. Sapevamo che l’Italia era spaccata in due, ma non pensavamo così nettamente. La spaccatura ci può interessare peraltro più sul piano politico che su quello, così stretto, di tipo numerico. Qualche punto in più o in meno riduce solo l’immagine ma non la sostanza del problema. [//]I dati elettorali, anche se fossero invertiti, ci dicono che il rischio di ingovernabilità esiste: più che per ragioni numeriche, (il premio di maggioranza è previsto proprio per questo), per ragioni più strettamente politiche, di rapporto tra le parti, per le conseguenze di demonizzazioni, di eccessi, di “travagliate” e “caimanate”, di reciproci “al lupo al lupo”. Senza contare i cinque anni di ostruzionismo pesante basato sulla esasperata ricerca del numero legale. La sinistra ha sbagliato analisi, credendo che il suo nemico fosse solo una persona, ricca, spregiudicata, da abbattere ed eliminare dal gioco politico, ma, ha dimenticato che quella persona rappresenta, nel bene e nel male, larga parte del paese, che sa parlare all’immaginario collettivo, entrare nelle convinzioni e in molte aspettative della società. Berlusconi, pur con gli errori e le inadempienze di questi anni, le difficoltà economiche interne ed internazionali, è stato rappresentato come l’affamatore di un paese povero e in grave crisi. Molta gente ha capito che non è proprio così. Perché altrimenti temere le tasse? Chi non ha redditi e proprietà, in genere non teme le tasse, come chi non ha l’auto non teme la multa dei vigili. Ora ci si sta svegliando, gli uni e gli altri, e si controlla la situazione: nel centrodestra con la viva sensazione del “miracolo di San Silvio” che solo un’aquila politica come Tabacci riesce a contestare; nel centrosinistra con la consapevolezza, formalizzata con i numeri, che la componente moderata, la Margherita ed in genere i popolari e l’area di governo dei DS stia “sotto” rispetto al successo di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani di Di Liberto, dei Rosso-Verdi di Pecoraro Scanio, dei No global e Girotondini di Caruso e Moretti. Forse Rutelli e D’Alema, ora vedono in Prodi l’alleato di queste componenti e, dopo un adeguato periodo di riflessione, vorrebbero un panorama diverso, anche -ma non va detto ad alta voce- dopo nuove elezioni. Le carte sono sul tavolo: Berlusconi non è stato demolito, Forza Italia, solo esclusivamente grazie a lui, esiste ancora. Il paese è stato scosso, è andato votare ed ha dimostrato il suo stato d’animo ed i suoi timori. Prodi ha più problemi di prima: con gli avversari per il pareggio sostanziale, con gli alleati per le conseguenze interne dello stesso. A parte i problemi delle cariche dello Stato, delle presidenze di Camera e Senato, che sono sempre risolvibili, c’è l’atteggiamento del Presidente della Repubblica che, giunto alla fine del mandato ad una venerabilissima età, giustamente affida il problema dell’incarico di governo al suo successore. Ed il suo successore sarà eletto con nuove e gravi difficoltà, dove potrà vedersi una possibile convergenza di D’Alema e Berlusconi, ma non certo quella di Prodi e della Sinistra dei duri e puri. La grande coalizione è difficilissima: si è troppo lacerata per poter ricucire facilmente. Se l’On. Marini afferma che bisogna mettersi d’accordo solo sul capo dello Stato, ancora una volta scambia la congiuntura con la prospettiva. Il paese è bloccato, non dall’esito elettorale in sé, ma da ciò che esso rappresenta, da ciò che non si è fatto, dagli egoismi e dai particolarismi che già vediamo rinascere. Una mediazione, magari solo formale ed istituzionale, si dovrà trovare per poter affrontare le emergenze del paese. Non bisogna però confonderle con le cose importanti che sono la crisi del sistema e della democrazia reale e partecipata, la modifica di questo intollerabile sistema elettorale ed il ritorno al territorio come legittimazione politica, il recupero della moralità della politica e del suo primato, la fine, se mai ci sarà, o la riduzione dell’imperio delle oligarchie di potere nei partiti, nei sindacati, nella Confindustria e nelle organizzazioni economiche, ovunque si trovino, perché esse sono il tarlo della democrazia. Non è poco dopo tante chiacchiere, dopo gli “eletti-nominati” a scatola chiusa, dopo espressioni di rivalità politiche poco dignitose, dopo una frammentazione politica contenuta nelle ancora fragili scatole del bipolarismo. Con davanti altre scadenze elettorali di forte valore politico, c’è da fare un immenso lavoro di pulizia e di riordino. In questo contesto si potrebbe fare molto, proprio per le condizioni precarie di questa situazione e del sistema in crisi. C’è da chiedersi se i capi lo vorranno, se ce la faranno, se gli altri poteri, interni ed esterni, lo permetteranno .
L’Adige, 15 Aprile 2006, pag. 2