Giambattista Pastorello potrà piacere o meno. Ai più, non piace. Ogni volta, però, che esprime le sue idee manageriali sul Verona per Bulldog è musica. Anche l’ultima uscita pubblica che ha fatto – la trasmissione “Palla lunga e pedalare” di TeleArena condotta da Raffaele Tomelleri in diretta e coi microfoni aperti a disposizione del largo pubblico -ha avuto il grande pregio non soltanto di dire cose tecnicamente ed economicamente corrette, ma anche di mostrare quanto grande sia l’abisso che divide un approccio industriale allo sport professionistico dal largo pubblico. [//]Infatti, nonostante due annunci non secondari – la disponibilità di cedere il 25% del capitale dell’Hellas Spa anche ad una cordata di azionisti-tifosi, trasformandosi in public company accettandone gli evidenti limiti; la volontà di vendere tutto, senza svendere, nel momento di un ritorno nella massima serie – il leit motiv della serata è stato un altro: quanto sia avido il Vicentino; quanto non ami il Verona; quanto guadagni il Vicentino col mercato dei calciatori; quanto in basso abbia fatto cadere l’Hellas; quanto perfido sia il Vicentino che dice di voler vendere, ma poi di fatto non lo fa. “Pastorello vattene” replicato in formule diverse. Nei panni del Vicentino, Bulldog si sarebbe ben presto sbarazzato della buona educazione e dell’aplomb per azzannare a destra e manca. Lui, invece no. Ha retto impassibile domande onestamente insultanti per qualunque imprenditore che abbia investito, a più riprese, in una qualunque realtà economica. E l’Hellas Verona è una realtà economica. E non perché il Vicentino sia avido e punti soltanto ad incrementare la sua quota di “sterco del demonio” racchiusa nei suoi forzieri berici. Ma perché esiste un Codice civile e un diritto societario ad imporlo. L’Hellas Verona deve puntare al profitto. Deve fare utili, non può neppure accontentarsi del pareggio di bilancio perché questo significherebbel’impossibilità di svilupparsi ulteriormente.
E nel computare i costi, lo dice il buon senso oltre che il Codice stesso, l’imprenditore deve tener conto del suo profitto. Altrimenti, perché uno dovrebbe farsi insultare tutti i giorni, affrontare le forche caudine delle banche e tutti i lacci e lacciuoli che rendono così ricca e varia la vita di uno che apre bottega tutte le mattine? I tifosi dell’Hellas Verona, evidentemente, son tutti a stipendio fisso. Arriva il 27 di ogni mese e oplà, fine di ogni problema.
Per questo non riescono a comprendere che il rischio d’impresa va messo in conto e che chi se lo accolla o ci guadagna, e bene, oppure fa beneficenza, ma alla fine si stufa. Poniamo questa seconda ipotesi: il Vicentino si stufa e se ne va.
C’è qualcuno che mette mano al portafoglio e gli compra la società? No, non c’è. La storia recente dice che questa mitica figura dell’immaginario del tifoso dell’Hellas è per l’appunto un mito, e come tale impalpabile: non c’è nessuno a Verona disposto a spendere 1 euro per comprare la squadra di calcio. Perché non c’è poi questo gran business, e anche perché la passione a volte non è sufficiente a veder collegare il proprio nome – anche se indirettamente – a quanto di peggio offre oggigiorno la tifoseria italiana del pallone. Certo, c’è più d’uno disposto ad accettare “in regalo” dal Vicentino l’Hellas Verona, meglio se il bieco si accolla pure qualche debituccio extra. Ma davvero conviene ad un tifoso un presidente di questa natura? Davvero questo sarà l’uomo “della Provvidenza”? No, non lo è. Al calcio un imprenditore oggi si avvicina – come nel passato – se ha altri business da spingere, se il peso politico che si acquisce col calcio può essere fatto valere su altri tavoli.
Si perde da una parte e si guadagna da un’altra. Basta guardare l’elenco dei presidenti, attuali e precedenti, per capire a cosa serve una squadra di calcio: da quelli che hanno interessi legittimi da portare avanti ai delinquenti.
Fine del pistolotto: fa bene il Vicentino a non mollare. A gestire l’Hellas al meglio delle sue capacità senza buttare soldi dalla finestra; fa bene a guadagnarci perché questa è la migliore garanzia che resterà al timone in attesa che sbuchi dal nulla un imprenditore con interessi politici da mettere in pista e gli riconosca l’avviamento, il lavoro, l’impegno che ha profuso e lo risarcisca, almeno economicamente, di tutti gli insulti ricevuti. Sino ad oggi, gratis. In ogni caso, meglio di gran lunga Pastorello ad un presidente del “Borgo Rosso”. E chi non lo capisce, è proprio perché non lo vuol capire. Volete Sivori…compratevelo voi.
L’Adige, 11 Febbraio 2006, pagg. 1 e 2