Tre uomini per sconfiggere la paura di perdere. Tre uomini per nascondere l’unico che conta: Silvio Berlusconi. Tre uomini per tentare di sconfiggerne uno: Romano Prodi. In vista delle prossime elezioni politiche, per il centrodestra correrebbero virtualmente tre candidati premier: corre Alleanza Nazionale con Gianfranco Fini “in prima persona” (come dire ammettere che in questi anni non si è dato un gran che da fare), corre l’UDC con Pier Ferdinando Casini “una scelta diversa” (da Berlusconi, naturalmente), corre Forza Italia con Silvio Berlusconi. [//]Il loro messaggio è però uno, reiterato con una straordinaria insistenza vicina all’ossessione: i tre virtuali candidati premier vogliono chiarire agli Italiani che la leadership nel centrodestra sarebbe tutta da negoziare dopo il voto. Che una vittoria non porterebbe a un replay dei cinque anni passati. Che ci sono tre candidati papabili per la Presidenza del Consiglio e che qualcuno potrebbe prendere il posto di Silvio Berlusconi. Lo schieramento diventa così uno-e-trino per bocca dei suoi leader, che difendono l’operato degli ultimi cinque anni ma che lasciano spazio a una dialettica in cui l’uno pizzica l’altro e in cui due su tre criticano più o meno esplicitamente il Presidente del Consiglio e il suo modo di governare. Il gioco è così ardito, però, che nell’altalenarsi delle apparizioni nessuno dei tre finge di aver avuto il tempo di porsi una domanda: è legittimo che i quattro partiti di una stessa coalizione presentino tre candidati premier indipendenti e che lo scelgano quello buono solo dopo il voto? Il centrodestra direbbe si, ma la risposta è una: no. La legge, che lo stesso centrodestra ha partorito (e che sembra poco intelligente che venga già violata dai suoi stessi autori), non lo consente, perché è prima del voto che secondo la legge elettorale si deve scegliere il leader del governo che presenta il programma di coalizione. E chi si inventa, come fanno i tre caballeros del centrodestra, che invece il premier sarà scelto dopo il voto e sarà il leader del partito che prende più voti inganna due volte gli elettori e, in sovrappiù, produce un effetto boomerang. Primo trucco: non è dato nella storia elettorale di questo paese pensare che un partito al 12%, AN, guidato da 15 anni dallo stesso leader e mai arrivato oltre il 15% sia in grado di raddoppiare i voti al punto da superare Forza Italia, che si aggira intorno al 19-20%; per cui il vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini neanche se dovesse rivelare di essere stato democristiano o comunista nella sua vita, dopo aver rivelato di aver frequentato la cannabis con risultati alterni, potrebbe mai battere Berlusconi. Ragionamento ancora più valido per il George Clooney del centrodestra, Pier Ferdinando Casini, che dovrebbe tentare la scalata dal 4-5% alla moltiplicazione per 4 dei suoi elettori; neanche con i pani e i pesci ci riuscirebbe qualcun altro. Per cui è evidente che l’unico obiettivo truccato è far votare i partiti ingannando gli elettori che si illudono di poterli votare come se votassero per un premier alternativo a Berlusconi, che nel centrodestra del 2006 non ci sarà mai.
Secondo trucco: la strategia delle tre punte dimentica un partito rilevante della coalizione che si chiama Lega Nord. Ovvero, la scelta comunicativa è di dire che c’è ma si fa finta che non conti. A dispetto della legge sulla legittima difesa e della devolution che sembrerebbero dire il contrario, comunicativamente si simula che il centrodestra ritorna ad essere quello del 1996, quando perse e quando la Lega era fuori e Bossi chiamava Fini fascista, Casini democristiano e Berlusconi Berluskaiser e tutti e tre giuravano che non avrebbero mai più scelto di sedere allo stesso tavolo con Bossi. Diciamo che, come le tre punte sono inventate perché sia Fini che Casini si vergognano di presentare come candidato premier un presidente oggi impopolare come Berlusconi, ma non hanno avuto il coraggio e la forza politica di cambiarlo, con altrettanta ipocrisia cercano di nascondere agli elettori moderati il piccolo particolare che l’alleato più forte del centrodestra in questi anni e soprattutto il più gratificato dal premier è proprio la Lega. Ovvero, paradossalmente l’unico che potrebbe proporre credibilmente tali risultati per i suoi elettori da presentare un candidato presidente alternativo a Berlusconi è proprio Bossi. Diciamo che è un inganno per gli elettori moderati e, contemporaneamente, un messaggio che potrebbe far riflettere gli elettori della lega sulla scelta di voto. Del resto a essere trattati come la polvere che si cerca di spazzare sotto il tappeto perché non si veda….Poi c’è l’effetto boomerang. Ovvero, come qualche sera fa sosteneva un esponente di Forza Italia formigoniano, quando una coalizione presenta più candidati per lo stesso posto è evidente che si sta già comunicando che si è perso. Perché? Perché la divisione è un segno di debolezza e di implosione della coalizione e perché la divisione, come sta succedendo, determina inevitabilmente una campagna più fatta contro i propri avversari interni che verso quelli della coalizione avversaria. E questo è ancora più vero, se poi quel posto per cui corrono tre leader su quattro partiti è quello di Presidente del Consiglio e la coalizione è quella che ha vinto nel 2001 come Casa delle Libertà unita e compatta e con una leadership solida e certa e in contrapposizione con un centrosinistra reduce da tre Presidenti in cinque anni e con tre candidati in lotta tra di loro. Tradotto, il vero effetto delle tre punte è più probabile che sia la conferma della ormai storica divisione nel centrodestra e la tomba definitiva sia per il centrodestra che per tutti i suoi leaders.
Chi si trova a dover presentare tre candidati al posto di uno fino alla fine dei giochi non mostra spirito democratico, ma l’assenza di un cavallo vincente e della forza politica per sostituire quello che funziona meno. La nuova trinità sembra una fotografia virata in destra del centrosinistra alle politiche 2001: tre candidati diversi (Rutelli, Di Pietro, Bertinotti) per una battaglia che non si poteva vincere. La nuova trinità mostra anche affinità con la campagna 2006 per il Comune di Roma: il centrodestra schiera Alemanno (AN), Baccini (UDC) e Antoniozzi(FI) contro un Walter Veltroni in grande forma. Sembra che il moltiplicarsi dei corridori si associ alla certezza di una sonora sconfitta. E viene da pensare che la trinità non serva tanto a massimizzare il consenso dei partiti quanto a contarsi in previsione del dopo. Un dopo dove i partiti che hanno recuperato di più potrebbero avere più forza nel chiedere la leadership della coalizione. Peccato che parliamo di una coalizione che, con una campagna nella quale perderebbero tre leaders e non uno, difficilmente potrebbe affidarsi a uno dei perdenti. E i loro stessi partiti potrebbero chiedere ai tre candidati premier di farsi da parte anche come leader di partito. Diciamo che, mentre Fini e Casini con Berlusconi continuavano a chiamarsi Trinità, Alemanno, Follini e Formigoni stanno a guardare interessati. Del resto le tre punte del Milan dopo il girone di andata hanno già portato il Milan di Berlusconi 12 punti sotto la Juventus e 4 punti sotto l’Inter in campionato e buttato fuori dalla Coppa Italia dal Palermo. Come dire, un modulo di successo.
L’Adige, 4 Febbraio 2006, pagg. 1 e 2