Fonderci con la Popolare di Verona? Cattolica Assicurazioni fa sapere che «no, grazie, ma per ora non è proprio il caso di parlarne». La scorsa settimana il fronte per la fusione ha messo in campo le sue pedine: rumors su Il Sole 24 Ore, domanda “telefonata” all’a.d. della Popolare scaligera Fabio Innocenzi in Borsa a Milano, titoli sui giornali un po’ di qua un po’ di là. Piccoli azionisti a spingere in cerca di un’immediata plus-valenza da incassare. [//]
Tanto fumo, buoni rialzi borsistici, ma poco arrosto. In Lungadige Cangrande hanno dato un’occhiata ai giornali ed hanno deciso di passare oltre: l’operazione non si farà. E diverse sono le ragioni del “gran rifiuto”. In via ufficiosa, da persone vicini ai vertici di Cattolica si fa sapere che un accordo societario pesante con Popolare di Verona metterebbe in discussione – anzi, manderebbe a carte quarantotto – l’intero impianto di bancassicurazione che Cattolica ha messo in piedi negli ultimi anni attraverso una fittissima rete di relazioni col sistema bancario, comprese anche non poche partecipazioni in istituti di credito. Di piccole dimensioni, ma anche significative come la Banca Lombarda.
E sarebbe assai difficile spiegare alle banche attualmente partner che la raccolta fatta sui prodotti comuni andrebbe a rinforzare non i conti di una struttura finanziaria-partner, ma quella di un concorrente quale potrebbe essere il conglomerato PopolareVerona-Cattolica.
A dirla tutta, una fusione farebbe saltare completamente il modello di bancassicurazione e la rete scaligera non potrebbe sostituirsi in toto a quella che andrebbe perduta. Nel giro di pochissimo tempo, tutta la rete attuale rischierebbe di venir snaturata se non drasticamente ridotta.
E non si è mai vista un’impresa che firma volontariamente il proprio ridimensionamento.
Ma non c’è soltanto questo.
L’approccio del partito filo-Popolare non sembra essere stato molto “fair”. «Non siamo il Lloyd di Trapani, ma una assicurazione di rango nazionale, ai vertici della propria categoria, una delle ultime che mantiene saldamente le proprie competenze nel comparto assicurativo senza cedere ai maghi della finanza che non hanno mai venduto una polizza-vita in vita loro». Il commento è salace, ma la dice lunga dell’effetto delle avance scaligere. «Non dobbiamo dimenticare – si mormora ai vertici della Compagnia – che siamo una realtà nazionale, e non territorialmente limitata. I partner possibili dovrebbero almeno avere un rank omogeneo al nostro».
La porta insomma è chiusa, anche se i rapporti fra i vertici delle due società rimangono ottimi, testimoniati dalle tante iniziative che sono state messe congiuntamente in cantiere.
A rendere difficile la fusione ci sono poi altre considerazioni: di governance, di piano industriale, persino di “omogeneità” fra due realtà che tutti indicano appartenenti al largo mondo della “finanza cattolica”, ma che proprio dalla Compagnia scaligera vengono messe in dubbio. Partiamo dalla governance. In questo momento Cattolica ha un “uomo solo al comando”, l’amministratore delegato Ezio Paolo Reggia, protagonista degli ultimi anni di crescita tumultuosa di Cattolica. E’ un assicuratore vero, uno degli ultimi rimasti a guidare una compagnia italiana e a capire di polizze. Che ruolo avrebbe in una fantomatica fusione? Quello di responsabile di una linea di prodotto? Basterebbe a farlo restare in riva all’Adige oppure si rischia di perdere un pezzo importante del know how di Cattolica? Idem sul versante dell’azionariato: sono entrambe realtà col voto capitario, ma la nuova realtà si troverebbe con un azionariato di maggioranza proveniente dai ranghi della Popolare, azzerando riti e usi consolidati nel tempo. Si può ipotizzare di creare una holding che stia sopra alle due cooperative, ma anche questo snaturerebbe troppo l’attuale filosofia di governance in Cattolica.
Il piano industriale. Mettere insieme bancari e assicurativi non è impresa facile. Come si realizzerebbero le economie di scala che sono alla base, e spesso ragione, di ogni fusione? E come si potrebbe recuperare in tempi brevi, senza quindi pesare su troppi bilanci, la rete di bancassicurazione che si perderebbe? Oltrettutto, si fa notare, Popolare e Cattolica hanno marciato spesso divise, ma colpito assieme. Col Creberg, col tentativo infruttuoso della Popolare di Cividale. Mettere tutto assieme, paradossalmente, ridurrebbe la capacità di muoversi sul mercato alle migliori condizioni.
Il mondo cattolico. Si dice, Compagnia e Popolare fanno parte dello stesso mondo. «A parole sì» mormorano in Lungadige Cangrande. «Ma nei fatti è proprio così? Può essere ancora considerata organica alla finanza cattolica una realtà, quale la Popolare, che ha al suo interno – in maniera pienamente legittima, peraltro, e con grande soddisfazione reciproca – nel suo azionariato fondi d’investimento internazionali che fanno capo ai più disparati pensieri politici ed ec onomici?». Magari questa pare una preoccupazione “eccessiva”, ma la richiesta di chiarezza sulla piena appartenenza alla finanza cattolica cela un sentiment reale nella Compagnia.
Il nodo direttore-generale. Ad alimentare il tam-tam sulla fusione c’è poi la figura del prossimo direttore generale di Cattolica Assicurazione, funzione ora detenuta da Ezio Paolo Reggia che però vorrebbe “cederla” ad un nuovo direttore generale che possa affiancarlo nell’ulteriore fase di sviluppo. Un ruolo che, sino a poche settimane fa, sembrava appannaggio sicuro dell’attuale vicedirettore, Paola Boscaini, la prima manager donna a salire i gradini del potere all’interno della compagnia e unico caso di donna ai vertici di un’impresa di assicurazione Un’altra colonna delle rete, anch’essa espertissima nel campo assicurativo. Il feeling fra Reggia e Boscaini sembra però essersi interrotto se è vero come è vero che l’amministratore delegato ha sguinzagliato i “cacciatori di testa” per trovare un d.g. forse più confacente ai suoi progetti. Una rottura clamorosa, che ha fatto pensare ai primi scossoni del terremoto-fusione con l’arrivo, si è accennato nella city scaligera, di manager di provenienza Piazza Nogara. «Le voci che riguardano possibili uscite di vertici aziendali – fanno sapere da Cattolica – legandole all’operazione Banca Popolare sono da imputare a “chiacchiere di paese” e non trovano fondamento nella carriera di questi manager all’interno dell’azienda».
Insomma, l’ennesima smentita. Tirata per la giacchetta la Cattolica sfugge all’abbraccio.

L’Adige, 20 maggio 2006, pagg. 1 e 5