Quelle note nel pentagramma del cielo
C’è sempre uno screensaver nella vita di ciascuno di noi. Sui monitor, un segmento si muove nello sfondo buio lasciandosi alle spalle una scia colorata, si allontana e ritorna volteggiando su sé stesso[//]. In questi limpidi cieli autunnali, lo stesso segmento sembra uscire dalla gabbia catodica e fluttuare libero. I colori si invertono magicamente. Lo sfondo è quello colorato del pomeriggio che va verso il tramonto, il nero iridescente è quello di una nuvola dagli scatti repentini. Un salvaschermo vivente, zoologico! Sono gli storni, passeriformi di taglia inferiore al merlo, la forma tozza, il becco giallo lungo e appuntito, l’aspetto lucido e iridescente, talvolta punteggiato più chiaramente. Li vediamo in fila sui cavi degli elettrodotti che attraversano la campagna. Sembrano tanti soldatini ordinati, composti, in attesa che un comandante senza stellette e distintivi fischi la partenza e l’involo. Da quel momento, dopo pochi istanti in cui il grappolo di animali sembra crollare rovinosamente e caoticamente al suolo, una nuvola magica comincia ad agitarsi nel cielo. Comincia a riflettere gli ultimi raggi solari che, sempre più radenti, lanciano gli ultimi sprazzi di calore. Comincia ad assumere forme bizzarre, a cambiare forma improvvisamente. Comincia soprattutto uno spettacolo che tiene incollati i nasi alle finestre, ai parabrezza e ai finestrini delle auto, all’aria che si fa di giorno in giorno fredda e pungente. E come lo screensaver raccoglie qualche istante di smarrimento dell’impiegato d’ufficio e gli concede una riflessione, così fanno gli storni sulla finestra del nostro quotidiano, di chi ha l’ufficio sul cruscotto di un’automobile, di un camion o, più fortunato, direttamente all’aria aperta. È tutto un susseguirsi di trasformazioni, lo schermo diventa cielo, il cielo diventa mare. Già, perché gli storni da nuvola nera, sciame di api, stormo di uccelli, diventano branco di sardine atmosferiche che si agitano con eleganza nelle correnti autunnali. Il meccanismo sembra essere lo stesso adottato dai branchi di pesci che sfuggono ai predatori. Cambi di direzione improvvisi, divisione del gruppo in due unità e riunificazione successiva. L’unione fa la forza, si sa. Non tanto perché il branco faccia paura, piuttosto disorienta. Un predatore eventuale è confuso da un nugolo di prede piuttosto che da individui singoli. Gli esperimenti su pesci isolati, gruppi e individui riconoscibili nell’ambito del branco per qualche caratteristica particolare (colore, forma velocità differenti) sono stati numerosi e celebri, per tentare di spiegare questo curioso comportamento che accomuna molte specie animali. I luoghi di aggregazione sono pressoché gli stessi nell’arco di una singola stagione, mentre variano di anno in anno. Durante le ore più calde, questi uccelli conducono vita solitaria o in gruppi sparuti nelle campagne o nei parchi urbani. A mano a mano che si avvicina il tramonto, l’albero, il traliccio o il tetto di un edificio, che fanno da attrattori per l’aggregazione, si caricano di vocianti individui, e piccoli gruppi arrivano da ogni direzione e si aggiungono agli altri già presenti. Dove vanno gli storni, cosa cercano, cosa vogliono dirci malgrado l’assenza nel cielo di alcun falco che possa minimamente intimorirli? Sembra il tormento che affligge il giovane Holden quando pensa alle anatre del Central Park dopo la gelata invernale dello stagno, in un contesto territoriale e zoologico assolutamente differente. Ma si sa, la letteratura trascende luoghi e tempi. Per gli storni, che di trascendente hanno ben poco, la risposta c’è. Vanno a dormire, e per fare questo danzano nell’aria per un po’, giusto per digerire, e poi scelgono un altro albero o il tetto di un altro edificio. I platani dei viali nei pressi della stazione, i parchi urbani dell’area circostante l’ospedale di Borgo Roma, gli edifici contigui alla grande area di proprietà della Provincia in via San Giacomo, le piante attorno allo stadio, i parchi delle scuole nel centro della città, le aree agricole delle campagne di San Michele e i tetti dei sempre più invadenti palazzoni e centri commerciali. Riguardo il perché celebrino queste simpatiche danze crepuscolari, la risposta non c’è ancora. Voli di addestramento, esercitazioni per non dimenticare la strategia di fuga dai predatori, manovre per rendere il volo in formazione sempre più coordinato e preciso o semplice e puro divertimento? Di sicuro queste abnormi aggregazioni creano notevoli disagi ai frutteti, ai vigneti, alle abitazioni, ai passanti malcapitati e alle loro automobili su cui, loro malgrado, piovono le deiezioni di questi piccoli, quando sono da soli, passeriformi. Alcune città hanno posto rimedio al problema con l’introduzione di richiami artificiali che riproducono il loro grido d’allarme per spezzare il gruppo, deviarlo altrove. Ma il problema si ripresenta da un’altra parte. Altre città europee fanno uso di piccoli aeroplani per disperdere gli uccelli. Gli aeroporti nei pressi di aree urbane fanno ricorso ai falconieri e ai loro fidi rapaci addestrati per disperdere i pericolosi e imprevedibili stormi. Qualche paese extraeuropeo, dove leggi, spazio, regole e fai da te si confondono in pericolose sfumature, ricorre alla solerzia di improvvisati cacciatori addetti al tiro a segno. Come dire, a sparare nel mucchio si fa sempre centro. Da considerare, inoltre, che lo spostamento repentino di uno stormo, o l’arrivo improvviso di migliaia di uccelli in ambienti protetti, peraltro sempre più rari, può costituire un problema anche per l’avifauna locale. Di sicuro, la presenza più abbondante di predatori naturali come i falchi potrebbe quantomeno contenere in modo economico ed equilibrato il problema. Ma l’introduzione, soprattutto in un contesto urbano, di animali così fragili come i rapaci è cosa quanto mai difficile e delicata. Più semplice auspicare un ripopolamento naturale. La risposta alla soluzione del problema è sicuramente complessa per una specie cosmopolita, gregaria ed estremamente diffusa come lo storno. L’abbondanza di cibo e la scarsità di predatori svolgono un ruolo primario in questo delicato equilibrio. Fintanto che non si parla ancora di allarme per un territorio come il nostro, è bello smarrire lo sguardo nell’unica conseguenza coreografica di questi voli. Chissà se Franco Battiato, scrivendo il testo della canzone intitolata “Gli uccelli” si è ispirato agli storni. “…meglio di aeroplani, cambiano le prospettive al mondo, voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili, codici di geometrie esistenziali…”. Sembra proprio di sì.