Vinitaly indossa il kimono e approda nel Sol Levante
Inaugurato martedì a Tokyo il Vinitaly Japan, la prima volta della rassegna enologica organizzata da Veronafiere nel Sol Levante. Con un fitto programma di seminari organizzati in collaborazione con Buonitalia e altri di degustazione dedicati ai vini[//] di Sicilia e del Veneto, a cura rispettivamente dell’Istituto regionale della vite e del vino della Sicilia e di Uvive – Unione consorzi vini veneti doc, Veronafiere ha portato in Giappone circa sessanta aziende italiane presenti, di cui una quarantina hanno partecipato al workshop commerciale organizzato con 500 tra importatori, distributori, stampa e opinion leader giapponesi. «Nei primi 8 mesi di quest’anno – spiega Camillo Cametti, consigliere di Veronafiere, con delega all’internazionalizzazione – l’export italiano di vino in Giappone è ammontato a quasi 62,4 milioni di euro, contro 56,4 dello stesso periodo dello scorso anno. Si tratta di quasi 18,8 milioni di litri, rispetto a 16,7 del periodo gennaio-agosto 2005». «Per organizzare Vinitaly Japan – commenta Giovanni Mantovani, dg dell’Ente fiere -ci siamo avvalsi dell’esperienza che abbiamo acquisito come Veronafiere nel corso di molti anni di attività nel Far East, in Russia e USA, ponendoci come sistema integrato di promozione attivo 365 giorni all’anno al servizio di tutte le aziende che vogliono andare all’estero. Questa missione in Giappone, tra l’altro, precede l’Ottava edizione di Vinitaly China, in programma a Shanghai dal 23 al 25 novembre prossimi». In Giappone i vini italiani godono di un alto posizionamento e l’aumento dei consumi in atto va sostenuto facendo conoscere, attraverso momenti di cultura enologica come quelli organizzati nell’ambito di Vinitaly Japan, le migliori produzioni italiane e la loro storia, che ben si abbinano con la cultura millenaria del Paese asiatico. I giapponesi sono consumatori attenti al prodotto e amano capirlo. Ne è convinto Naohisa Muto, presidente di Clio International, che importa vini italiani ormai da 12 anni. «Abbiamo scelto i vini italiani – spiega Muto – perché sono i migliori in termini di caratteristiche, livello qualitativo, costo, tradizioni e natura delle persone che lo producono e lo promuovono. I giapponesi preferiscono vini corposi, fruttati, sapidi, con sentore di barrique. Generalmente li consumano al ristorante e negli alberghi, che rimangono i canali ideali per i prodotti italiani, mentre i supermercati potranno avvicinare nuovi consumatori a tipologie di vino diverse da quelle attualmente disponibili». Le prospettive commerciali sono molto interessanti, perché in questo paese, che non ha una tradizione enologica, più di due terzi della popolazione di età superiore ai 18 anni beve vino. I consumi medi annuali sono 2 litri pro capite, ma con rosee prospettive di sviluppo.