(di Stefano Tenedini). Economia veneta debole, ma il sistema produttivo regge e limita le negatività. I tassi d’interesse rimangono alti, ma le imprese sono meno indebitate, hanno una struttura finanziaria più solida, più redditività e riserve disponibili. Le famiglie invece sembrano fragili, ma cresce il credito al consumo, classico un segnale di fiducia. E se cala l’export extra UE, lo bilanciano i Paesi comunitari.

Insomma, sembra l’aneddoto del calabrone che ha le ali troppo piccole per sollevare il suo peso, ma non lo sa e quindi vola lo stesso. L’effetto è simile: il sistema economico veneto – e veronese, come vedremo – ha superato un 2023 poco brillante, eppure gli stessi numeri sembrano consentire anche una visione, se non positiva, almeno neutra. D’accordo, con la statistica non si scherza. Ma i dati raccolti nel rapporto annuale della Banca d’Italia, presentati a Verona dal capo della filiale Massimo Gallo e commentati da Pier Luigi Ruggiero, a capo della sede di Venezia, per quanto non ricchi di “+” come nel 2021 del dopo Covid non dipingono certo un quadro pesantemente negativo per il territorio.

La Banca d’Italia ha elaborato i dati sull’economia del Veneto nel 2023

Ecco i dettagli presentati da Marco Tonello e Carlo Bottoni, analisti della Divisione ricerca economica territoriale della sede di Venezia (il Rapporto Veneto 2024 completo è disponibile a questo link). Nel 2023 l’attività economica si è indebolita risentendo della frenata del commercio mondiale, dei tassi d’interesse e dell’erosione del potere d’acquisto delle famiglie. Resta l’incertezza legata alle prospettive economiche e alle tensioni geopolitiche, nonostante la resilienza del sistema produttivo e finanziario e il recupero della domanda turistica. Il PIL del Veneto è cresciuto in termini reali dell’1,1%, in linea col dato nazionale (+0,9), ma in frenata rispetto al +4,9% del 2022. L’indicatore sulle dinamiche economiche segnala una diminuzione dell’attività nella seconda metà dell’anno, mentre nei primi tre mesi del 2024 il dato è tornato positivo.

Economia veneta: indicatori trimestrali e dinamiche di fondo a confronto con il PIL regionale
Economia veneta: indicatori trimestrali e dinamiche di fondo a confronto con il PIL regionale

Nelle esportazioni Verona ha risentito meno delle altre province venete e del Nord Est del calo verso la Germania, grazie agli storici e costanti legami tra le due economie, oltre che alla presenza delle multinazionali tradizionalmente presenti nell’area scaligera. Nel complesso del 2023 le esportazioni regionali di beni hanno ristagnato (-0,3%, da un +16,1% del 2022), però in linea con la media italiana. Dopo i forti cali nel 2022, in seguito allo scoppio del conflitto, le esportazioni in Russia hanno continuato a ridursi anche per le sanzioni UE. Al contrario sono riprese quelle verso l’Ucraina. Export ridotto in quasi tutti i settori e soprattutto nel tessile e nei mobili; debole nell’agroalimentare e nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche; è cresciuto solamente nella meccanica e nell’occhialeria. Le importazioni regionali di beni del 2023 sono diminuite dell’11,8% dal +33,4% del 2022.

La produzione manifatturiera regionale, dopo un biennio di recupero nel post-pandemia, si è indebolita, risentendo del calo degli ordini esteri e interni, ed è diminuita del 2% sul 2022. Invece l’attività del settore edile è cresciuta, continuando a beneficiare degli incentivi fiscali per riqualificare il patrimonio abitativo. Bene anche le opere pubbliche grazie al progredire della spesa per l’attuazione del PNRR. Nel turismo concluso il recupero delle presenze straniere, mentre sono ancora sotto il 2019, sia pure in ripresa, i pernottamenti dei visitatori italiani.

Nonostante il rallentamento e il costo del debito, i risultati delle aziende sono tuttora positivi. L’incremento del debito bancario resta marcato ma contenuto grazie ai correttivi adottati in termini di struttura finanziaria, di minore debito, maggiore redditività e disponibilità di liquidità. Meno prestiti alle imprese per l’aumento dei tassi, per il minor fabbisogno di finanziamenti legato all’attività più debole e per condizioni di accesso al credito ancora rigorose e selettive.

Economia veneta: dopo il tonfo del 2020 e il recupero del 2021 ora il rischio viene dalla geopolitica
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Per quanto riguarda l’industria manifatturiera c’è stato un indebolimento che va attribuito al calo di ordini esteri e interni: in media nel 2023 la produzione manifatturiera è scesa del 2% contro un +4,5% nel 2022. Le attività produttive si rilevano anche qui in crescita nella meccanica, fermi alimentari e bevande, in deciso calo nel settore moda. Conseguenza del calo dell’attività industriale, nelle imprese regionali anche il fatturato è sceso del 7% (dal +2% del 2022), così come i prezzi praticati. Scesi ma solo leggermente anche gli investimenti, a causa dell’incertezza geopolitica, del deterioramento della congiuntura e del rialzo dei tassi. Le previsioni per il 2024 sono di un ristagno del fatturato e di un ulteriore rallentamento dei prezzi di vendita così come degli investimenti.

Verona si avvicina ai vertici regionali per le imprese in più rapida espansione

Lo sviluppo economico del territorio riceve un significativo impulso da un numero anche relativamente contenuto di imprese dinamiche. Tra il 2014 e il 2019 il Veneto è stato caratterizzato da una diffusione di imprese a elevata crescita del fatturato di poco inferiore alla media nazionale e del Nord, anche tenendo conto dei diversi settori di attività. La rapida espansione di un gruppo di piccole e medie imprese, infatti, può contribuire in modo significativo alla crescita economica e alla creazione di nuova occupazione. Si definiscono “ad alta crescita” le imprese in grado almeno di triplicarlo nel triennio successivo alla fondazione. In Veneto la distribuzione sul territorio è molto eterogenea, con una densità maggiore più alta a Padova e Verona e decisamente bassa a Belluno e Rovigo. Per i settori, è più alta la concentrazione nella manifattura.

In controtendenza, crescono edilizia e mercato immobiliare: gli investimenti in Veneto a +5,4% per cento in termini reali, incremento confermato anche dalla crescita delle ore lavorate rilevata dalle Casse Edili. A contribuire gli incentivi per le ristrutturazioni abitative e l’efficientamento energetico: ad aprile 2024 inoltre la quota dei lavori realizzati in Veneto sul totale di quelli ammessi alle detrazioni (pari a quasi 11 miliardi) aveva raggiunto quasi il 97%. Nel settore dei servizi si segnala nel 2023 la crescita del traffico passeggeri negli aeroporti veneti, spinta dall’aumento di passeggeri di voli internazionali: invariati quelli sui voli nazionali. Nel complesso dei tre scali veneti (Verona, Venezia, Treviso) anche nel primo trimestre 2024 i passeggeri sono quasi ai livelli pre-Covid.

L’andamento progressivamente negativo della demografia in Veneto e in Italia è un serio problema anche sotto il profilo economico. Il calo delle nascite, già iniziato nel 2009, fino al 2014 è stato compensato dall’immigrazione estera, ma la contrazione della natalità e la crescente longevità hanno inciso su tutta la struttura di età della popolazione, con un aumento dell’invecchiamento. Il riflesso sul mercato del lavoro in Veneto ha colpito l’occupazione maschile più di quella femminile, che è cresciuta. Nel 2002 in Veneto c’erano 136 over 65 ogni 100 giovani sotto i 14 anni, mentre nel 2023 il numero è salito a 195. Dal 2014 al 2023 ovunque nel Veneto tranne che a Verona il calo demografico si è aggravato. La provincia scaligera si distingue come provincia più “giovane”. In Veneto la quota di popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è diminuita in vent’anni passando dal 68,2 al 63,6% nonostante i contributi di immigrazione interna e ancor più estera.

Entro il 2042 potrebbero mancare 300 mila lavoratori, con un -14% sul PIL

In previsione l’effetto potrebbe essere molto dannoso per l’economia locale: il periodo 2023-2042 potrebbe veder calare la popolazione veneta dell’1,5%, in totale 72 mila persone in meno che sarebbero difficilmente controbilanciate dal flusso migratorio straniero. Entro il 2042 potrebbero mancare oltre 300 mila persone in età lavorativa, con costi in termini di Pil di addirittura il 14%.

Economia veneta: Verona è la provincia più "giovane" del Veneto ma cresce il pericolo demografia
Economia veneta: Verona è la provincia più “giovane” del Veneto ma cresce il pericolo demografia

Un altro dato negativo legato alla demografia è la poca attrattività delle nostre università. Considerato in Veneto a 0,8 e quindi inferiore a 1, questo indice ha un valore negativo, mentre se fosse superiore a 1 ci definirebbe come una regione capace di attrarre studenti. Siamo quindi collocati in una posizione intermedia: lontana da regioni forti come Emilia Romagna, Lombardia e Lazio, ma anche da quelle più deboli come Sardegna, Calabria e Basilicata. Siamo la settima tra le nove regioni aventi un saldo positivo tra laureati in entrata e in uscita, appena sopra la sufficienza. Inoltre in un quadro europeo di crescente mobilità della forza lavoro post-universitaria il Veneto non riesce a richiamare l’interesse dei laureati italiani residenti all’estero. Quattro anni dopo la laurea, il 76,4 % lavora in Veneto. Ma tra chi prima degli studi non abitava in Veneto la quota piomba al 15,7%, quasi la metà della media italiana. Quindi se non sei veneto ti laurei qui ma subito dopo o torni nella regione d’origine o vai all’estero.

Dedichiamo la conclusione a un altro problema molto serio. Le donne costituiscono il 60,4% dei laureati (58,9% in Italia) e sono la maggioranza in tutte le aree disciplinari salvo nella STEM, dove solo il 34,2% per cento dei laureati è donna (40,8% in Italia). Ma non è un dato fine a se stesso: c’è uno stretto rapporto che collega laurea, genere, lavoro e reddito, proprio perché rispetto alle potenzialità sono ancora troppo poche le ragazze che scelgono una materia scientifica, tecnica, ingegneristica e matematica. Ne derivano effetti negativi e diretti sull’efficacia e la competitività del sistema. Così perdiamo punti di PIL, rinunciamo anche a un maggior equilibrio sociale, al riconoscimento economico (reddito) di parte della popolazione più giovane e allontaniamo l’eliminazione del Gender Pay Gap, la differenza di retribuzioni che colpisce le donne a parità di competenze e livelli. Insomma, sprechiamo un valore aggiunto che potrebbe andare alle persone e distribuito a tutta la comunità.

Poche ragazze scelgono studi e lavori STEM: una perdita per economia e società

Al tema l’incontro in Banca d’Italia ha dedicato un focus presentato dalla prof. Vittoria Levati, docente di Economia politica all’Università di Verona, insieme a Valentina Gagliardo, presidente del Gruppo Giovani di Confindustria Verona. Ecco il senso: nonostante in generale in Italia si laureino più ragazze che ragazzi, e anche se la laurea STEM assicura più opportunità di inserirsi in settori in forte crescita e sviluppo, più occasioni di lavoro e un reddito fin da subito più alto… beh, meno di metà degli studenti e dei laureati sono ragazze. “Questo conferma e perpetua i divari di impiego e di retribuzione”, sottolinea la prof. Levati. “E tra le cause ci sono gli stereotipi su lauree più o meno adatte alle femmine, sui corsi di studio difficili, oltre a una scarsa autostima riguardo le proprie capacità. Aggiungo la mancanza di modelli di ruolo femminili, figure trainanti che spingano a scegliere studi sfidanti ma di grande soddisfazione”.

Lettura confermata dal test fatto in un liceo vicentino. Le ragazze ottengono in media voti più alti in tutte le materie, anche perché studiano di più. Il divario di genere in fase di formazione è una favola che non sta in piedi, ed è l’errata percezione proprio delle ragazze che si credono inferiori o inadatte. La ricerca lo ha chiesto a loro: credi di essere andata meglio o peggio della media della tua classe? Solo l’8% per cento credeva di essere andata bene, e invece sopra l’asticella ci si sono ritrovate sei volte tante: il 48%. I maschi si sopravvalutano e le femmine si sottovalutano: e questo non deve generare un’altra guerra dei sessi, ma spingere tutti a essere consapevoli di quanto si valga e si meriti.

Alla fine del percorso ragazze e ragazzi devono indicare quanto sperano di guadagnare al primo stipendio: i maschi sparano altissimo, le femmine si accontentano di meno. “Hanno anticipato da sole quella che purtroppo sarà la loro realtà”, ammette la prof. Levati. Ma mettendola anche solo sull’economia e lo sviluppo, davvero oggi in Italia – e in Veneto, e a Verona – ci possiamo davvero permettere di sprecare queste energie? E la risposta non può che essere un fortissimo e urgente NO.

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