Le liste d’attesa arrivano oggi sul tavolo del Consiglio dei Ministri. Un decreto legge di 7 articoli dovrebbe accorciare le liste d’attesa che stanno cullando di fatto l’universalità del sistema sanitario.
Il ddl prevede che per le prenotazioni ci sia un Cup unico regionale o infraregionale e che per velocizzarle le visite, che gli esami diagnostici vengano fatti anche il sabato e la domenica e che possano essere utilizzati per abbattere lealiste d’attesa anche gli specializzandi. Inoltre affida all’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, il monitoraggio delle liste d’attesa, istituisce un ispettorato generale sull’assistenza sanitaria.
Nel decreto è previsto anche un registro nazionale delle segnalazioni dei cittadini su quello che non funziona nel Ssn ed aumenti del 20% ai compensi del personale sanitario che si renderà disponibile al lavoro extra.
Per contrastare il fenomeno dei gettonisti le Asl o le Ulss potranno assumere medici con contratti di lavoro autonomo.
Se i direttori generali delle aziende sanitarie o ospedaliere non raggiungeranno gli obiettivi di riduzione delle liste d’attesa potranno essere sospesi dal loro incarico anche per un anno.
L’attenzione del governo posta alla grave situazione della sanità è un segnale positivo. Ma insufficiente. Lo si potrebbe definire, per restare nell’ambito sanitario, come una terapia sintomatica, ovvero una terapia che cura i sintomi della malattia, senza rimuoverne la causa. E quando ciò accade, specialmente se il malato è grave, è perché non si conosce la causa della malattia o non si riesce a rimuoverla.
Le liste d’attesa sono il sintomo, non la malattia
La sanità italiana è malata grave e le liste d’attesa sono solo un sintomo. Encomiabile lo sforzo del governo di ridurle. Ma se non mette mano alla causa della malattia del sistema sarà inevitabile che tornino ad allungarsi o addirittura che rimangano su livelli tali da costringere i cittadini a rivolgersi al provato pagando di tasca loro.
I provvedimenti contenuti nel decreto, a parte la decisione di far lavorare la diagnostica anche nei fine settimana e di utilizzare gli specializzandi, consistono in provvedimenti di carattere burocratico-organizzativo ed eludono i veri problemi come l’inadeguatezza del ruolo dei medici di medicina generale, la mancanza di personale sanitario, il sovraffollamento dei Pronto Soccorso e la mancanza di un’efficiente rete sul territorio per la gestione della post-acuzie e della cronicità.
Curare il Servizio Sanitario Nazionale con dei palliativi, senza andare al cuore del problema, è come curare un malato di cancro con l’aspirina.