(di Paolo Danieli) A Bruxelles si sono messi d’accordo per rinnovare il mandato della von der Leyen alla Commissione, nominando il socialista portoghese Antonio Costa alla guida del Consiglio e la centrista estone Kaja Kallas a quella della diplomazia. Metodo molto discutibile, che ha tagliato fuori la Meloni e che non ha tenuto minimamente conto del segnale uscito dalle elezioni che è quello di una decisa svolta a destra.
Bruxelles. Gli equilibri e i numeri
Neanche Tajani ha condiviso questo metodo. Eppure lui fa parte del Ppe, asse portante della maggioranza di centrosinistra con cui il Parlamento europeo dovrebbe riconfermare Ursula. Le servono 361 voti. Lei ne dispone, in teoria, di 399.
“Ma- scrive l’autorevole Financial Times- si prevede che molti voteranno contro durante lo scrutinio segreto previsto intorno al 15 luglio. Anzi, alcuni hanno già detto che lo faranno”.
Si gioca quindi su 38 voti la sua riconferma che poggia sull’accordo tra popolari e socialisti. Ma grava proprio sul Ppe la responsabilità di non tenere conto del voto.
Il Ppe è un po’ com’era la Democrazia Cristiana nella 1^ Repubblica. Al suo interno c’era una forte componente di destra. Com’è appunto Forza Italia all’interno dei popolari. Se Tajani è coerente con quanto affermato non dovrebbe fare altro che votare contro con i suoi 9 europarlamentari.
Basterebbe allora che sulla stessa linea ci fossero altri 29 popolari e il gioco sarebbe fatto. Cosa non impossibile, visto che all’interno del Ppe ci sono molti deputati di destra e che alcuni hanno già fatto sapere che nel segreto dell’urna non voteranno per Ursula. Dipenderà tutto dai franchi tiratori.
Va comunque dato atto alla Meloni di essersi comportata molto bene in questa fase. Sarebbe stato un grave errore allinearsi all’establishment di Bruxelles.
Invece così ha guadagnato in credibilità, sia come capo del governo italiano, sia come capo del più grande partito di destra europeo.
Meloni e la stampa europea
“La presidente del Consiglio italiano – scrive Le Figaro – vuole avere voce in capitolo, ritenendo di rappresentare una corrente, certo disunita, ma che sta crescendo. Il ‘regalo’ di una vicepresidenza esecutiva della Commissione non basterà certamente ad ammansire colei che conta circa il doppio di eurodeputati a Strasburgo rispetto ad Emmanuel Macron. Senza attendere il Rassemblement National in Francia, o FPO in Austria, Meloni segnala all’Europa che deve fare i conti con forze politiche decise a stravolgere il gioco”.
E, scrive il Financial Times, “il capo dell’estrema destra europea ha ricordato a Ursula von der Leyen che un secondo mandato alla guida della Commissione europea non sarà una passeggiata”.
“Lo sgarbo di Meloni è la sfida più significativa alla leadership di von der Leyen. Non solo l‘Italia è il terzo stato membro più grande e uno dei suoi sei membri fondatori, ma Meloni è anche a capo del terzo blocco politico più grande del parlamento”.