Spiega Elena Donazzan che la sconfitta alle Comunali di Vicenza – che segue con precisione millimetrica quella subita un anno fa a Verona – ha radici profonde che non vanno sottovalutate per il prossimo appuntamento clou, le elezioni europee del 2024: «Il centrodestra al governo dà tutto per scontato. Ma non c’è più nulla delle certezze del recente passato: siamo davanti ad un voto “gassoso” che si sposta senza problemi da un partito all’altro, che non si accontenta più della passerella dei ministri perché banalmente dal proprio sindaco vuole altro. L’elettorato valuta la classe dirigente, valuta la coerenza delle posizioni assunte sia nella fase di opposizione che in quella di governo. Valuta se la politica resta sui social oppure scende per le strade e si sporca le mani coi problemi concreti. Se non si torna a questo, l’elettore semplicemente guarda altrove: cambia schieramento, puntando sulle persone, oppure diserta le urne. Anche i nostri militanti valutano lo stile, la coerenza, le azioni che vengono portate: sono tutti molto più critici di un tempo e nessuno accetta l’ordine di votate a scatola chiusa. A Vicenza sono venuti tutti i ministri. E infatti oggi governa Possamai…».
Elena Donazzan – ieri sera a Pescantina ad una cena dell’Officina organizzata da Aldo Vangi e Paolo Danieli – insiste: «Non penso sia un caso se a Vicenza il centrodestra ha ottenuto lo stesso “successo” di Verona: eravamo in presenza di due sindaci che si sono “fintamente” parlati durante il loro mandato ed è stata palese l’assenza di una strategia che unisse realmente le due città mettendo insieme per davvero le realtà come Agsm Aim, l’università…questo vuoto di progettazione è stato punito dagli elettori. E’ mancato il radicamento e la coerenza di una visione culturale: due elementi in più che hanno allontanato il nostro popolo».
Donazzan è l’assessore regionale più longevo d’Italia: diciotto anni alla guida di un dicastero importante che segue scuola, lavoro, crisi aziendali. Verona e l’ovest del Veneto non sono alla guida del Veneto da cinquant’anni. Alla fine dell’era Zaia mancano due anni. Ma prima c’è il passaggio delicato delle Europee. Delicato perché nella destra veneta (come in quella nazionale) non mancano malumori sulle posizioni atlantiste e pro-Kiev di Giorgia Meloni: «Non mi nascondo, so che queste posizioni esistono. Ma non scopriamo oggi che esiste un problema di “sovranità limitata”. La vera differenza, però, è che oggi c’è un governo che ha un disegno geopolitico, che riprende il meglio della politica estera ed industriale del secondo dopoguerra e che vuole far pesare il proprio ruolo. Abbiamo un fondo sovrano che dice chiaramente che l’Italia non sarà più passiva. Che negozia sul serio e che getta le basi per una nuova stagione da protagonista. Queste elezioni europee non sono “Cenerentola” come quelle del passato: abbiamo la concreta possibilità di cambiare l’asse politico europeo a vantaggio dei popoli e non delle élite; abbiamo la possibilità di un’Europa a trazione centrodestra escludendo i socialisti rimettendo al centro il patrimonio sociale delle imprese e non più la finanza».
E dato che sinora nessuno ha pagato per le sconfitte elettorali, cosa deve fare il centrodestra per recuperare gli elettori perduti in questa che appare come una crisi di crescita? «Bisogna tornare al radicamento territoriale, saper tenere una posizione coerente sui nostri valori, mantenere la nostra visione culturale e non cedere sulle questioni importanti. E va cresciuta una nuova classe dirigente che parta dai territori».