(di Elisabetta Gallina) Una tra i pochi che può smentire la locuzione Nemo propheta in patria (sua). Perché a Verona ci è nata, l’ha lasciata e poi è ritornata, per costruire una carriera intorno a quel perimetro ovale che per tanti è solo uno spazio scenico e che per lei, invece, rappresenta un mondo fatto di note e di luci, coltivato fin dalla tenera età. Una delle poche donne veronesi ai vertici della propria città, al comando di una macchina che arriva a contare anche mille persone. Tra le poche che può vantare una carriera unidirezionale: quella della musica, della lirica, del teatro più bello del mondo. A poche ore dalla Prima che verrà trasmessa in mondovisione, Cecilia Gasdia, racconta le sue emozioni e i suoi progetti per il futuro. “E’ ora della pensione”, ci dice. Ma è difficile crederle. Specie se una Sovrintendente ti accoglie mentre suona il piano della sala Ettore Fagiuoli, il suo tempio-ufficio.

Sovraintendente, cosa significa per lei mettere la firma su un centenario così importante?

Sono commossa. Esserci arrivati è davvero una grande soddisfazione. Ho iniziato a pensare a questo giorno già nel 2018, quando sono diventata Sovrintendente per la prima volta. Sono così legata all’Arena di Verona, cominicando dalla piccola me che a soli cinque anni già toccava queste pietre. Poi la comparsa, l’artista del coro, la cantante solista, un po’ tutti i gradini, piano piano. E non con l’obiettivo di diventare Sovrintendente, come invece è stato.

Ci fu anche un concorso che rappresentò una svolta per lei.

Era il 1980, un concorso indetto dalla Rai intitolato a Maria Callas che era mancata tre anni prima. Eravamo circa 380 concorrenti e vinsi io. Ero molto giovane, avevo vent’anni, e già in quel momento la mia vita cambiò perché di fondo non volevo fare la cantante lirica, non era nei miei programmi, io stavo già benissimo all’università. Ho dovuto fare una scelta. E questa scelta mi ha catapultata nel mondo dell’opera per oltre 35 anni. Nel tempo è arrivato anche l’interesse sulla parte amministrativa, molto interessante ma anche di grande responsabilità.

Quando si parla di responsabilità, che macchina è quella areniana? Quante persone muove?

I numeri sono altissimi, i dipendenti stabili sono 260 circa e poi d’estate assumiamo più di 1000 persone; quindi per almeno tre mesi l’ente lirico diventa un vero e proprio “paese”. Al di là di questo, la responsabilità è di vario genere: responsabilità amministrativa sui bilanci, sui lavoratori, verso il pubblico, gli artisti. Insomma, una macchina che deve ingranare e deve soprattutto funzionare come un orologio svizzero. Per quanto mi riguarda essere un cantante non vuol dire essere di conseguenza anche un buon amministratore. Però nella mia esperienza ho avuto l’aiuto di tutti, un’amministrazione che mi ha aiutato tantissimo, un consiglio di indirizzo che è stato unito in tutti i momenti, belli e brutti, di questi cinque anni. Tutti, insieme, abbiamo fatto un lavoro straordinario.

Cosa racconta questo centenario?

Questa è la centesima stagione perché la prima si tenne nel 1913, quindi quest’anno sarebbe il centodecimo anno dall’inizio. Le guerre mondiali e la pandemia hanno però interrotto la numerazione progressiva dei Festival e, quindi, quello che doveva capitare l’anno scorso è cascato quest’anno. Un traguardo che segna un momento di transizione storico: dalla tradizione al futuro dell’Arena di Verona. Che non vuol per forza dire diverso, ma con idee nuove sicuramente.

Come vivrà questa prima mondiale?

È stato un lavorone, veramente. Perché oltre alla routine si mettono insieme tante cose, come i personaggi di prima linea che verranno: rappresentanti di governo, i ministri, i presidenti della Camera e del Senato, oltre alla diretta in mondovisione. Poi avremo anche ospiti di tutto riguardo, a partire da Sofia Loren come madrina. È quello che si merita questo teatro. Abbiamo lavorato tanto per cercare di festeggiare un bel compleanno, perché questo teatro la merita e tutti i lavoratori e questa città la meritano. E poi l’Arena non significa solo Verona, è anche Italia, ed è uno dei teatri più internazionale del mondo con oltre 114 paesi che ogni anno ci mandano spettatori. Ce la meritiamo una bella festa e poi l’Aida, 152 anni portati benissimo, ci farà fare un figurone.

Effettivamente è un’Arena sempre più in viaggio.

Facendo trasferte si stringono tantissimi legami: con giornalisti, apparati commerciali, turisti, e anche politici; siamo stati anche ospitati in ambasciate molto importanti, che danno una grande visibilità. È importantissimo far parlare dell’Arena perché se non si fa niente, arriva poco.

Vuole dirci che ha trovato qualcuno che non conosceva l’Arena?

Certo. A chi nel passato diceva che l’Arena di Verona è famosissima nel mondo, diciamo che non è proprio così. L’Arena è, sì, un teatro molto conosciuto ma non dobbiamo darlo per scontato.

Nel suo futuro lo vede l’estero? Magari a dirigere qualche teatro internazionale.

No. Io sono entrata in questo teatro per salvarlo. Perché era destinato alla liquidazione coatta, era commissariato e in cassa integrazione: praticamente, le aveva tutte. Ho cercato di dare il mio contributo, sono entrata solo per quel motivo. Non proseguirò in altri teatri nel mondo, penso di andare in pensione nel giro di poco.

Ce la farà davvero a non andare in pensione, a staccare dalla musica?

Dalla musica assolutamente no, da una posizione amministrativa invece sì.

Nella sua lista dei desideri legata all’Arena, c’è ancora qualcosa che deve esaudire?

Assolutamente sì, ma “il mio mistero è chiuso in me”.

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Un momento della nostra intervista in Sala Ettore Fagiuoli