( di Paolo Danieli)  Nel corso della storia Verona è stata importante per la sua posizione geografica. Collocata ai piedi delle Alpi, lungo l’Adige, dove si apre la grande e fertile pianura veneta, adiacente al Garda, vicina al mare ed al crocevia fra i due principali assi di comunicazione, Nord-Sud ed Est-Ovest, Verona è sempre stata punto d’incontro e di scambio di persone e cose. Di qui lo sviluppo del terziario, dai trasporti al turismo, dalla logistica alla cultura, all’arte che ha determinato sempre maggiori opportunità di lavoro e di benessere ed una qualità della vita sempre migliore.  

Però da qualche anno Verona s’è fermata. Rimane la prima città del Veneto per numero d’abitanti, se si considera che Venezia ne ha poco più di 60 mila e può vantare il primato solo grazie all’aggregazione con Mestre – che peraltro insiste per la separazione- ma ha perso importanza per la marginalizzazione che ha subito nell’ambito della Regione per la sua collocazione al confine occidentale del Veneto e per una progressiva carenza di rappresentanza. L’ultimo Presidente della Regione veronese è stato Angelo Tommelleri. Dal 1980 in poi il Veneto è stato guidato:  dal trevigiano Bernini (1980-1989); dal padovano Cremonese (1989 -1992); dal padovano Frigo (1992-1993); dal vicentino Pupillo (1993-1994); dal padovano Bottin (1994-1995); dal padovano Galan (1995- 2010).  E Zaia è di Treviso. 

E’ allora necessario un riequilibrio fra il triangolo Padova-Venezia-Treviso, dove si concentra il potere politico ed economico della regione, e quell’area non meno importante ma sotto-rappresentata che ha il suo centro in Verona e il suo territorio. Periferica nel Veneto, è il punto di riferimento naturale della cosiddetta “area del Garda”, costituita dai territori di Trento, Brescia e Mantova che a loro volta hanno problemi di marginalità nelle rispettive regioni. Ed è questa la prospettiva di sviluppo più importante.

Ma può avvenire solo se la politica veronese sarà capace di esprimere dei rappresentanti che abbiano una visione che vada oltre le mura della città e guardino ai prossimi venti/trent’anni, come –  bisogna riconoscerlo- avevano fatto alcuni veronesi della Prima Repubblica. Si tratta di una presa di coscienza importate, trasversale ed impegnativa cui bisogna cominciare a lavorare da subito con chi ci sta.

Tuttavia c’è anche qualcos’altro che può essere fatto subito per riportare Verona al ruolo di protagonista delle scelte e dello sviluppo del Veneto. La legge del 7 aprile 2014 n.56 ha istituito le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria aventi come finalità istituzionali generali lo sviluppo strategico del territorio, la promozione e la gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione, la cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee. 

Il territorio della città metropolitana coincide con quello delle disciolte (si fa per dire) province. Indubbi sono i vantaggi della città metropolitana in termini di trasferimenti statali. 
Questa legge non ha considerato Verona città metropolitana, anche se ne ha tutte le caratteristiche, al centro com’è di un importante area densa di insediamenti umani e di strutture produttive, sicuramente più rilevanti di quella che fa capo a Reggio Calabria! Ciò si traduce per noi veronesi in un danno d’immagine oltre che economico in termini di trasferimenti dallo Stato. 
Noi però non vogliamo rassegnarci ad un ruolo di città di “serie B”. Siamo la dodicesima d’Italia per numero di abitanti ed anche di più per importanza e se la qualifica di “città metropolitana” lo stato centrale non ce l’ha voluta dare la Grande Verona ce la facciamo noi!

Le condizioni ci sono tutte.  Siamo in una fase fluida della storia in cui la società sta vivendo grandi cambiamenti. Modificare le situazioni è quindi più facile rispetto ad altri periodi caratterizzati da grande stabilità.
Verona ha le carte in regola per porsi come area metropolitana non solo sulla carta, ma nella realtà geopolitica.
Per peso demografico, ha la possibilità di attestarsi tra le prime città d’Italia. Tanti non sanno che fino al 1927 Parona, Quinzano, Avesa, Poiano, Montorio, S. Michele e S.Massimo erano comuni a sé, con il loro sindaco e la loro organizzazione municipale. Il governo di allora per risparmiare e razionalizzare i servizi li accorpò a Verona. Tutti quei piccoli comuni vennero sciolti e venne costituita quella che allora fu chiamata la “Grande Verona”, che è la Verona di oggi.   Eppure, per quei tempi e per i mezzi di trasporto di allora, quelle che oggi sono delle frazioni erano luoghi  più distanti da Verona di quanto non lo siano oggi Negrar, Pescantina, Grezzana, S.Martino B.A., S.Giovanni Lupatoto, Buttapietra, Castel d’Azzano, Villafranca, Sona, Sommacampagna e Bussolengo.  

Se poco meno di un secolo fa la lungimiranza di chi ci governava realizzò la Grande Verona, oggi che le distanze sono state annullate dai progressi della tecnologia e della mobilità è ancora più necessario e più logico passare ad una “fase due” della Grande Verona ( #GrandeVerona.0 ? ), creando una grande area metropolitana con l’accorpamento di tutti i comuni del hinterland veronese.

Lo strumento legislativo già esiste: la legge del 7 aprile 2014 n.56. Basta una semplice proposta di legge che aggiunga la parola “Verona” dopo “Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria”. Ciò permetterebbe di razionalizzare le scelte urbanistiche e infrastrutturali del territorio veronese, rendendo migliore la vita dei cittadini. Significherebbe poter fare progetti per il futuro pensando più in grande. Significherebbe risparmiare un bel po’ di denaro eliminando delle amministrazioni comunali con annessi e connessi. Con una città di 410.000 abitanti, la settima d’Italia, dopo Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova, oltre ai vantaggi già detti e ad un miglioramento dell’immagine, il primo effetto sarebbe quello di accedere ad una quota superiore di finanziamenti dello Stato con evidenti benefici per tutti. 

La via più breve è una proposta di legge promossa chiamando a raccolta tutti i parlamentari veronesi. In alternativa si potrebbe lavorare, di concerto con il Comune capoluogo e la Provincia, ad una moral suasion degli amministratori della cintura veronese e dei suoi abitanti per realizzare “dal basso” la Grande Verona.
Certo ci saranno delle resistenze, come sempre accade quando ci sono dei cambiamenti, soprattutto da parte di coloro che potrebbero venir meno delle rendite di posizione. Ce ne rendiamo conto e sappiamo bene che bisognerà fare un grande lavoro per rimuovere questi ostacoli che sempre si frappongono fra la conservazione dell’esistente e le grandi innovazioni. Ma, convinti come siamo che solo pensando in grande sarà possibile consegnare ai nostri figli una Verona dove poter costruire il futuro e una Verona di cui andare orgogliosi, lo dobbiamo fare.