(di Bernardo Pasquali). Il futuro del riso italiano sarà sicuramente positivo. Devono cambiare modalità di marketing e comunicazione, maggiore attenzione alla volubilità dei consumi e, soprattutto, svecchiare decisamente la concezione solo territoriale, aprendosi al mondo. Lo si evince da una importante ricerca, elaborata da Astra Ricerche per l’Ente Risi Nazionale (1000 intervistati tra i 18 e 65 anni), presentata questa mattina al Palariso Zanotto di Isola della Scala.

“La campagna 2023 tornerà finalmente ad essere di buona prospettiva, sia per quel che riguarda la quantità di riso prodotta, sia per quanto riguarda il raffreddamento dei prezzi del riso italiano”. Lo afferma il Vicepresidente dell’Ente Risi Roberto Magnaghi, all’inizio del suo intervento. “Purtroppo, la produzione del 2022 ha risentito notevolmente dell’effetto siccità, con una diminuzione produttiva del 27% che ha causato un’aumento, secondo l’ISTAT, del 35% del prezzo medio e quindi anche un calo delle importazioni del 17%.”

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Investire in cultura e aprirsi al mondo

“Il riso italiano, si produce su una superficie di 230.000 ettari ma si può ancora crescere – continua Magnaghi – tutto dipenderà dalla capacità di intercettare il mondo nuovo che si sta affacciando alla globalità dei consumi. Parliamo sempre di nuove generazioni ma siamo pronti a capire che fenomeni come sushi o pokè, in grande crescita tra le generazioni X e Z, necessitano di nuove tipologie di riso? Dobbiamo svecchiare le mentalità ancora tropo legate alle tradizioni locali e interpretare il futuro. Soprattutto abbiamo necessità di fare cultura del riso, soprattutto tra queste generazioni”.

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Migliorare la comunicazione e rendere più efficace il marketing del riso italiano

Secondo l’indagine Astra Ricerche, il 41% degli italiani controlla spesso l’etichetta di una confezione di riso. Solo il 15,6% sa riconoscere il marchio del riso italiano. Più del 70% però, dichiara che lo vorrebbe vedere evidente in etichetta. Purtroppo, aggiungiamo noi, le aziende che non hanno aderito al marchio dei tre chicchi con i colori della bandiera sono ancora molte.
sta crescendo sempre più la necessità di una Climate Label e di una tabella nutrizionale di semplice lettura. Si sta facendo avanti tra i quindicenni la nuova app Luka che legge il codice a barre del prodotto e ne definisce la bontà da un punto di vista salutistico, di impatto ambientale, di Carbon foot print, ecc…”.

Non più solo risotto, serve un nuovo ricettario per il riso italiano

Il riso italiano è consumato prevalentemente al nord sotto forma di risotto. Eppure, il cambiamento culturale e l’aumento sempre maggiore di immigrati di prima generazione e di seconda generazione, legati alla tradizione asiatica e mediorientale ma non solo, portano all’aumento del consumo per l’uso alla cantonese, sushi e pokè, arancini, supplì, questi ultimi soprattutto nella fascia 18-24 anni. C’è una ricerca, non solo nelle nuove generazioni di ricettari differenti; innovazione nel suo uso in cucina. Ricettari che si aprono a ingredienti, i più diversificati, sostenibili, proteici, superfood, ideali a preservare la conicità del corpo e donargli longevità.

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Informami….ispirami

Il valore emozionale che si richiede ad un prodotto alimentare non è mai stato così determinante come negli ultimi anni. Anche il riso italiano ha bisogno di questa quarta dimensione che stimola l’anima e l’immaginazione. Lo compro perchè è un “piacere” mangiarlo. Il consumatore è sempre più attratto dall’esperienza. Sono attratto da quel cibo perchè mi ispira. L’alimento che ha l’effetto di un teletrasporto verso il territorio d’origine, le tradizioni di un popolo, la piacevolezza di uno stile di vita. Il consumatore per il 52,5% vuole più suggerimenti per ricette nuove e originali, inoltre cerca la conoscenza delle varietà, ed è attratto dalle tipologie meno conosciute ma dal gusto interessante.

Il ruolo della GDO

Secondo Marina Bassi, Caporedattore di GDOweek e MarkUp, purtroppo l’elemento discriminante la scelta del riso italiano su scaffale da parte del consumatore, è ancora essenzialmente legato al solo prezzo. Origine e minuti di cottura sono i principali elementi che interessano poi a chi compra ma, del resto, si comunica troppo poco. Il consumatore si fida dei brand ma non è sufficiente per irriso italiano.

“Non c’è solo un problema di etichettatura – afferma Marina bassi – esiste un problema di scaffalatura che deve essere più interessante, accattivante, “parlante”, dove si comunicano i valori del prodotto e le loro differenze. Purtroppo per il riso questo è ancora lontano da venire. Il tempo medio di permanenza di un cliente al supermercato è di 20 minuti, all’Ipermercato di 30 minuti. Il discount ha solo 3000 referenze in vendita mentre i supermercati di solito mediamente 15.000. Servono sistemi digitali e Visual che riescano ad offrire maggiori informazioni utili per la scelta senza comprometterne il tempo”.

E a Isola della Scala? Chi si chiude è perduto…

Una chiosa all’interessantissimo convegno. L’atteggiamento opposto di due modi di pensare a Isola della Scala. Da una parte l’imbarazzante e, a mio avviso, fuori luogo, intervento di Luciano Mirandola, Presidente della Strada del Riso, che definisce l’evento come un “convegno molto milanese. Il riso a Isola è nato da una scelta politica della Serenissima Repubblica di Venezia. A noi non interessano gli scaffali smortini milanesi ma le 500.000 persone che vengono ogni anno a mangiare alla Fiera del Riso. Il nostro riso non lo trovate a 50 chilometri di distanza da Isola della Scala sugli scaffali d’Italia, ed è anche giusto che sia così…noi ce lo consumiamo e ce lo mangiamo qua!”.

Di tutt’altro avviso il Vicepresidente della Fiera del Riso, Gabriele Ferron, secondo il quale, i due migliori risi d’Italia sono il Carnaroli e il Riso Vialone Nano Veronese ma serve sempre più una politica di marketing che tenga conto dei nuovi consumi, delle nuove tendenze etniche, delle nuove generazioni. Per un riso che non nasca e muoia a Isola della Scala ma con una visione più internazionale, per dare ancora più valore all’impegno dei produttori locali e per trasmettere una cultura e una tradizione secolare.

Dopo quello che è emerso dai dati della ricerca…credo sia sostanziale il coraggio di guardare oltre dell’Ente Fiera e della sua dirigenza. Altrimenti chi si chiude è perduto!