(b.g.) Alla fine di ottobre sarà pronta la nuova valutazione del valore di VeronaFiere che terrà conto dell’annus horribilis delle fiere a causa del Covid-19: si scenderà dai 120 milioni attuali a 60-70. A quel punto, il Consiglio d’amministrazione tirerà una linea e, anche alla luce dei risultati in arrivo con l’avvio della stagione autunnale – il “mini” Vinitaly, la Fiera Cavalli su due weekend e le altre manifestazioni – proporrà ai soci il nuovo aumento di capitale. Nuovo nei valori, non nella sostanza: più patrimonio per la digitalizzazione e l’internazionalizzazione. «E allora valuteremo anche la disponibilità di soggetti esterni – sottolinea Matteo Gelmetti, vicepresidente della fiera scaligera – : potrebbe essere Cassa Depositi e Prestiti, ma soltanto nel caso di un piano nazionale di sistema, oppure altre istituzioni fieristiche e/o soggetti internazionali. Noi siamo aperti a più soluzioni: anzi, a breve annunceremo un accordo molto importante con un’altra fiera. Ma ad una condizione…»
Quale?
«Che la necessaria regia nazionale tenga conto delle specializzazioni e dell’expertise già maturato: sia chiaro che l’agroalimentare è una competenza di Verona e Parma – e non a caso noi stiamo già lavorando insieme sui mercati internazionali fondendo le rispettive competenze universalmente riconosciute -, così come il mondo equestre è veronese, così come il design e il fashion sono di Milano e così via… Chiediamo chiarezza anche perché una soluzione “stand alone” per VeronaFiere è possibile comunque. Privilegiamo una soluzione di sistema, ma possiamo anche far da soli».
«Il Comune di Verona – aggiunge Daniele Polato che con Gelmetti e il senatore Adolfo Urso di FdI ha incontrato oggi la stampa in un appuntamento elettorale (qui il nostro video) – è il principale azionista di VeronaFiere e come eravamo d’accordo sullo scorso aumento di capitale deliberato da 30 milioni€ oggi siamo favorevoli all’ingresso di tutti quei partner che possono apportare valore alla fiera. A noi interessa una Fiera scaligera competitiva, ancora in grado di generare un indotto importante per l’economia del territorio e veneta – 1,5 miliardi l’anno è la ricaduta sulla regione – non certo il dividendo a fine d’anno. Capisco che, invece, gli azionisti privati puntino anche a quello ed è legittimo. Quindi, noi faremo la nostra parte per sostenere uno sviluppo più digitale che fisico, ma dove non manchi una “materialità”: quindi più spazi in città per gli eventi della fiera utilizzando il patrimonio immobiliare e, auspico, anche un progressivo allargamento di questi eventi sull’intera provincia. So che ci sono stati diversi dialoghi con investitori internazionali, la pandemia ha rallentato i colloqui ma siamo pronti a riprenderli. Abbiamo chiesto alle banche uno sforzo finanziario – come nuove linee di credito – per passare l’emergenza e questo è arrivato. Ora bisogna agire sul lato patrimonio». E qui rientra in gioco Adolfo Urso che già lunedì sarà impegnato al dibattuto sul “decreto agosto”, altri 25 miliardi da iniettare nell’economia, unica finestra per modificare un testo, altrimenti caratterizzato dall’ennesima pioggia di sussidi e mancette. «Il governo ha dimenticato le fiere, tutte. Deve rimediare adesso. Le fiere hanno bisogno di un miliardo – sottolinea Polato – la stessa cifra che il governo inglese ha messo sul tavolo assieme ai privati per il settore e in linea con quanto il governo federale tedesco ed i Laender hanno fatto per le loro fiere che hanno ricevuto a fondo perduto l’intero fatturato perso per la pandemia». In altre parole: i colossi inglesi e tedeschi sono sul mercato col portafoglio gonfio e senza problemi di budget mentre il secondo mercato fieristico in Europa – quello italiano – si trova a competere con la mano destra legata dietro la schiena…